Era sembrata la cosa migliore. Per accompagnare il tempo dell’estate. Rileggere, o forse meglio leggere, “Moby Dick“. Per via di quell’immagine rimasta impressa nell’anima di animale immenso e pauroso, annunciato dal rombo sotterraneo, come suono di terremoto. E per via del ricordo di quell’odore di terra, comparso senza che comparisse terra. Perché solo questo ricordo. Ma basta a far tremare. Per questo, e per ritrovare la durezza che sopravvive alla morte. Già annunciata dal primo respiro. L’inizio dunque. “Chiamatemi Ismaele“.