Pensando e ripensando alla Palestina, a quel che vi accade dentro e a quel che vi accade intorno. A quel che si tuona stia per succedere ( ma che forse non si è mai fermato). Ritornando, come dopo altro ritorno, sulle pagine de La rabbia del vento, sconvolgente racconto di Yizhar, considerato uno dei padri spirituali della letteratura israeliana. Comparso nel 1949, è un resoconto sull’espulsione del popolo palestinese dalle sue terre. Ma è anche riflessione sul rapporto con l’altro, una folla di dubbi sulla liceità morale delle azioni compiute. Libro da leggere e da rileggere. Racconto breve, ma dove il meno è il più… E ancora ripropongo, perché pagina da imparare a memoria, l’ultima pagina: “…E quanta indifferenza c’era in noi. Come se non avessimo mai fatto altro che mandare in esilio. Il nostro cuore si era ormai indurito. Ma nemmeno questa era la cosa principale.
E la via d’uscita?
La valle era tranquilla. Qualcuno aveva già cominciato a parlare di cena. In lontananza, vicino al punto in cui sembrava terminare la strada sterrata, un camion scuro, traballante, come quelli carichi di frutta o di messi, o di chissà cos’altro, svaniva all’orizzonte. Il dolore per l’offesa e la rabbia impotente si sarebbero presto trasformati in una sorta di straniamento vergognoso, che un po’ alla volta sarebbe stato dimenticato. Tutto all’improvviso si fece così aperto. Così grande, enorme. E noi diventammo minuscoli e senza importanza. In breve sarebbe scesa sul mondo l’ora in cui è bello tornare stanchi dal lavoro, incontrare qualcuno o camminare da soli. Intorno era silenzio, e di lì a poco si sarebbe chiuso anche l’ultimo cerchio. E quando avesse avvolto tutto, e nessuno ne avesse disturbato la calma, e al di là di esso ci fosse stato solo un brusio sommesso, allora Dio sarebbe sceso nella valle e vi avrebbe vagato per vedere se il grido giunto fino a lui era davvero così grande.”