“Non voglio coltivare lo spirito d’indipendenza; non voglio coltivare quell’orrore del debito che era tipico del galantuomo ottocentesco, positivista e sufficiente, che riteneva di non dover nulla a nessuno e traduceva, in una norma d’onore economico, il proprio orgoglio e la propria cecità. Io so di dover tutto a tutti: a cominciare da Dio e dal sangue e dal latte di mia madre, per finire con l’aria che respiro (…) So bene di dover tutto a tutti e non mi voglio “sdebitare”. Quando qualcuno mi fa un dono e non vuole il “ricambio”, lo accetto, perché neanche a me piace di “ricambiare”, quasi a ristabilire parità improponibili. Io accetto il dono e resto in debito. E se poi, a mia volta, posso fargli un regalo, è un regalo e non una restituzione, un pareggio di conti. “Così – gli dico – io resto in debito; e mi piace; adesso sei in debito anche tu. Non siamo in pari: siamo entrambi reciprocamente debitori; e possiamo dir grazie “
Un pensiero, dal libro di Adriana Zarri, “L’eremo non è un guscio di lumaca“, che mi ricorda, inviandomelo, Gabriella. Insieme a questo suo pensiero che condivido e rigiro, per una riflessione natalizia…
“Questo brano, dal libro della Zarri che mi hai consigliato, credo che si sposi bene con il periodo natalizio e con la smania di contraccambiare sempre in termini di esagerazione. Ho ricevuto un fiore, ricambio con un mazzo enorme per dimostrare, in maniera più o meno inconscia, che “posso”. Confesso che sono caduta anch’io in questa trappola consumistica, ma fortunatamente l’aver perso ogni bene materiale mi ha fatto scoprire il piacere delle piccole cose”.