Cercando, le parole nel silenzio. O il silenzio nelle parole. Trovandoli, entrambi, nell’affascinante raccolta di scritti di Adriana Zarri. Libro dolce e provocatorio come il suo titolo: Un eremo non è un guscio di lumaca. E ascoltare, dalle parole scritte nel silenzio di quell’eremo, il racconto del tempo delle stagioni, dei giorni e delle notti, della comunione con la terra e i suoi frutti e i suoi animali. Della comunione più profonda con il mondo e con la sua gente, che pure da quell’eremo passa. Inquietante, pure, questo libro. Perché pervaso di dolcezza spietata. Come spietato è il rigore della strada che indica. E che pure attrae se con tanta forza riesce a farne annusare il profumo. Profumo di pienezza. Per una solitudine che si svela come null’altro impastata con il mondo. Ecco… solo i primi pensieri, dopo i primi capitoli, cercando in questo libro una risposta all’obiezione di chi pensa il silenzio solo come un chiudersi alla comunicazione, negandone la capacità d’ascolto. Ecco, una prima risposta, parlando del Natale, a pagina 81: “Ricordo quando abitavo a Roma, in una di quelle case con le pareti di carta velina(…) e mi giungeva confuso il chiacchiericcio vuoto di tavolate che s’intuivano convenzionali, con discorsi di nulla. (…) Sentivo il pomeriggio che naufragava in chiacchiere sempre più stanche. E il mio silenzio, invece, a onta di quelle interferenze, si faceva più denso, più compatto, più felice. Tanto più adesso che la mia casa ha solide pareti contadine e al di là c’è soltanto la stalla e lo starnazzare dei polli“. Davvero, questo, come suggerisce la controcopertina, un libro da ascoltare… per trovarla, e comunicarla, infine, quella felicità compatta del silenzio…