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    il trenino, 11

    …Comunque, anche solo a guardarsi qui intorno, non c’è davvero il rischio di annoiarsi. Ci deve essere un centro di salute mentale, da queste parti. Dietro la collina, credo di avere sentito. Uno di quei centri, diurni, li chiamano, dove, mi sembra di capire, si vada qualche ora, per un trattamento e via. Bèh, un giorno quei malati devono essere usciti tutti alla stessa ora. Perché alla fermata a metà strada, quella in linea d’aria sotto la collina, è salito un gruppetto di persone dall’aria davvero strana. Educati e composti, per carità. Ma di una compostezza compressa, che per un attimo ho temuto potesse, come dire, uscire dai binari. Gli sguardi. Qualcuno fin troppo mobile. Qualcun altro, fin troppo fermo. Un giovane uomo, magro magro, alto alto e tutto vestito di nero, con gli occhi fissi a scavare nel vuoto. Cattura lo sguardo, o ne è catturato, da una ragazza magra magra e tutta vestita di nero, come usava l’altr’anno e ancora usa fra gente un pò punk. Attratto da quei segni così simili ai suoi, le si siede davanti e la fissa, e continua a fissarla per tutto il tempo del viaggio, come agrappato all’unica certezza nella quale riconoscere e riconoscersi. Mentre tenevo d’occhio quei due, ho anche avuto modo di ascoltare. Quell’altro seduto accanto al finestrino. Stava enunciando una strana teoria, a proposito di menzogne e di complotti, e di non so quale presentatore in tivvù che riteneva responsabile della diffusione di notizie falsate. Parlava di lampadine, che era giunto il momento di svitare. Per spegnere le voci, che sono ormai troppe, diceva. Sembrava un pò matto, ma poi a pensarci bene neanche poi tanto. Comunque questo lo dico sottovoce, per non sembrare un pò matto anch’io. Sono tempi bui. C’è chi semina paure, alimenta fobie improvvise. Non vorrei trovarmi da un giorno all’altro guardato con sospetto. (continua)

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