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    il trenino, 10

    Vi sembrero’ monotono, ma ho ancora una storia di una coppia d’uccelli senza piu’ ali. Non che statisticamente siano piu’ numerosi degli altri viaggiatori. La verita’ e’ che in qualche modo li prediligo. Provo per loro una certa tenerezza. Che e’ la stessa che ho per me. Come loro, per guadagnarmi la vita, sempre in marcia, avanti e indietro, avanti e indietro. Senza scampo. Anche se il loro cammino non sempre e’ costretto, come il mio, su un unico binario. E per questo a volte un po’ li invidio. Ma so, che quando il loro andare si fermera’, come per me, sara’ per sempre. Dunque, sulla strada del ritorno, verso sera. Lei e’ una giovane donna. Forse trent’anni. Forse molti di meno. La vita, sul volto delle zingare, lascia presto i suoi segni piu’ profondi. Lui e’ il suo bambino. E’ vivacissimo. Ha grandi occhi neri. Smisurati, mi sembrano, mentre si guarda intorno monello. Ha una brutta tosse. Ma si muove e saltella e si alza e si risiede con l’energia curiosa dei bambini della sua eta’. Quanti anni ha? Chiede cortese una ragazza seduta li’ accanto. Tre anni, risponde la madre. Che lo afferra, lo lascia, lo riacciuffa, lo bacia. Ancora gli sfugge, e lui sbanda, si allunga, poggiando la manina sulle ginocchia della ragazza. “Non disturbare” lo ammonisce la mamma, indicando la giovane. Che il bambino si ferma a fissare. Negli occhi passa un’ombra di timore, punta il dito verso di lei e: “Polizia?” le chiede. Tre anni, e quanti gli orchi delle sue fiabe… La ragazza confusa dice, ma no, ma no. Ma il piccolo insiste: “Polizia?”. Quasi mi si stringe il cuore. E, che sollievo, subito poi lo sento ridacchiare. E, lo so, in servizio non dovrei, ma rido. Rido anch’io. I bambini… (continua)

         

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