Dall’altra riva. Di un carcere. Arriva questa lettera, di Patrizia Pugliese, insegnante, nel carcere di Tolmezzo. E una lettera dentro la lettera, di Emanule Pavone, che a Tolmezzo è detenuto. Ancora, voci dal silenzio.
Scrivo da Udine e sono una docente di lettere presso il carcere di massima sicurezza di Tolmezzo. Esperienza unica e bellissima. Ho conosciuto tante storie e tante non vite. Lavoro per quelli della sorveglianza speciale. Tre volte alla settimana il mio lavoro si traduce in missione. Sono laureata n lettere ma sto conseguendo seconda laurea in psicologia a Trieste. Lavorando in carcere ti rendi conto di diverse realtà che ti si presentano davanti. Io voglio bene ai miei ragazzi, mi rifiuto di usare due parole con loro: detenuti e celle, preferisco parlare di ragazzi e di stanze. I miei ragazzi sono stati ragazzi di strada (20 anni fa) ora sono diventati ragazzi di lettere (scrivono, compongono poesie, studiano, c’è chi si iscrive all’università, parlano di amore, fratellanza, di giustizia e di ingiustizia.). I miei ragazzi hanno capito il concetto di “colpa”, loro hanno elaborato il concetto di “male” come male che c’è stato per vari motivi (provenienza geografica, culturale, oserei aggiungere substrato, giovane età, incoscienza, sogni di gloria, materialismo…) Oggi, a 20 anni di distanza, posso affermare con coscienza morale che sono cambiati. Mi ritrovo a parlare con uomini da una forte valenza morale a cui bisogna dare una chance. Che senso ha privare un uomo nuovo ad un destino nuovo? …Sbagliare è umano… ovviamente, il loro, non è un piccolo sbaglio… Ma 20/25 anni non bastano per ripulire le loro e nostre coscienze? Considero l’ergastolo ostativo un crimine quanto quello commesso dai detenuti. Il carcere? Un gatto che si morde la coda e in cui la logica non sovviene.
Il Pm legge il giornale, sbadiglia annoiato, assorto, indifferente. La sua tracotanza malcelata trasuda dalla toga che indossa a metà schiena per non sgualcire l’abito nuovo. Tocca all’accusa. Il tono solenne iniziale si trasforma in un’arrogante, supponente, quasi insofferente sproloquio supportato dai soliti assiomi: “Non poteva non sapere! Non poteva non vedere! Non poteva non pensare!” Il solito gioco di prestigio, il solito virtuosismo dialettico e viene dissipato ogni ragionevole dubbio, ogni perplessità. Sono confuso, non capisco, la corte si ritira e le speranze si affievoliscono. Passa un’ora, ne passano due, forse è buon segno… Sono attenti… Ricomincio a sperare… Continua il brusio, la testa mi scoppia, sento le vene pulsare. Non ne posso più, mi sembra di esplodere! Ho fumato un intero pacchetto di sigarette, la mia bocca è impastata, la saliva vischiosa, dal sapore acre, è velenoso, ho sete. Oddio!!! Un po’ di aria vi prego! Ci siamo, la tensione è palpabile, suona il campanello. Mi arriva una violenta scossa alla nuca, mille pugnali la trafiggono. “Entra la corte, in piedi!” poche parole crude e gelide: ” In nome del popolo italiano, visto l’art. 533 condanno l’imputato alla pena dell’ergastolo!” Sento l’eco di questa frase nella mia testa, è la fine, sono annichilito. Non riesco a ragionare, resto senza parole, mi sembra di sognare. Un incubo da cui non c’è via di uscita. “Stai tranquillo, c’è l’appello”… Odo la voce del mio avvocato dal suono distante e ovattato, quasi provenisse da un’altra dimensione. Avanzo con gli occhi sbarrati, un agente mi dice… “Su, coraggio!” mentre, come un automa, porgo i polsi per essere ammanettato. Si rientra in carcere. Finalmente mi posso rifugiare nella mia cella dove, paradossalmente, mi sento al sicuro, come un bimbo nel grembo della madre. Si… Sto impazzendo, sto delirando !La vita continua, la vita di un sepolto vivo. Sulle mie spalle un fardello crudele, nel mio fascicolo una frase che non lascia speranza: “Fine pena mai”.
Questo scritto appartiene ad Emanuele Pavone, detenuto presso la casa circondariale di Tolmezzo. Mi autorizza a diffondere questo splendido graffito umano. Vi chiedo di riflettere. Come lui, tantissimi altri nella stessa condizione. Auguro giustizia a tutti, alle vittime, ai parenti, ai detenuti. Giustizia come “Giusta punizione”. Ringrazio tutti i detenuti, sezione massima sicurezza di Tolmezzo, vi ho trovato pentimento (radicato, forte, sentito), dignità, sguardi fieri e in alcuni una sensibilità fuori dal comune. Grazie per avermi sostenuto durante l’anno scolastico, grazie di avermi protetta e a modo vostro “amata”. Mi sono sentita “amata” come non mi era mai capitato fuori. Nessuna volgarità o mancanza di rispetto nei confronti di una giovane donna di 35 anni. L’odio, l’invidia, i cattivi pensieri non fanno parte dei miei otto ragazzi. Grazie per il meraviglioso anno scolastico passato insieme
Patrizia Pugliese, Docente di lettere presso Carcere di Tolmezzo