Quel giorno non aveva neanche voglia di mangiare. Le poche foglie di insalata che aveva mandato giù gli avevano lasciato in bocca un sapore d’erba amara. Quella che stringeva fra le mani era ormai la ventiquattresima lettera di Jasmine. Strappò la busta. Spiegò i fogli. Ma la vista a tratti gli si annebbiava. Dovette leggere e rileggere e ancora leggere, prima di scovare altri due tasselli del gioco di Jasmine. “Flegetonte” e “fra il sesto e il settimo cielo“. Era luglio, e sulla città cadeva pioggia afosa. Andrea non chiuse la finestra e lasciò che l’acqua bagnasse il pavimento. Sperò, chissà, che potesse spegnere il fuoco che era divampato all’improvviso nel camino. Anche se non ricordava che in quell’angolo ci fosse mai stato un camino. Ma avrebbe affrontato la cosa l’indomani. Adesso aveva altro di più urgente da fare. Prese le lettere di Jasmine, le spiegò tutte e le distribuì sulla scrivania. Secondo l’ordine di tempo con il quale le aveva ricevute. Seguì il filo rosso di parole sottolineate a matita. Le lesse, rilesse, lesse ancora, senza riuscire a individuare un senso. Si spazientì. Andò in cucina a bere qualcosa. Trovò nel frigorifero del vino bianco che non ricordava di avere mai comprato. Ritornò alla scrivania con in mano due bicchieri. Accostò al tavolo un’altra sedia, come per un ospite in arrivo. Rise di se stesso, mentre, come appartenessero ad altri, le sue braccia avevano già sistemato la sedia sul lato destro del tavolo, in asse con il bicchiere che vi aveva appena poggiato. (6- continua)