Lettera aperta di Peppe Dell’Acqua indirizzata a Fedez… bello, toccante invito a confrontarsi…
“Caro Federico,
ho ascoltato la tua intervista nella trasmissione di Fazio. Mi ha colpito come una bomba, quando alla fine dell’intervento hai detto, quasi rubando la parola al conduttore, che l’anno prossimo è l’anniversario della nascita di Basaglia. E l’hai detto con parole che nessuno oggi dice, parlando di un uomo che concretamente ha speso la sua vita, si è battuto contro lo stigma della malattia mentale, sperando, e aspettandoti, che il nostro paese sia orgoglioso di questo e che l’anno prossimo lo sappia ricordare. Le tue parole… una voce nel deserto. Ché se ieri tutti ne parlavano oggi si dice “quello che ha chiuso i manicomi, però”… c’è sempre un però. In questi ultimi tempi parlare in questo modo di Basaglia, come tu hai fatto, con tanta nettezza è cosa rara.
Le tue parole sulla malattia, poi… Questa intervista mi ha fatto scoprire una persona che conoscevo pochissimo, poche cose lette qua e là sui media. Mi sono trovato davanti a un giovane che comunica le sue emozioni, con una profonda e ricchissima sensibilità. Per me è stata anche questa una bella scoperta: che un giovane della tua età parli come tu hai fatto della tua malattia. Uso ancora la parola nettezza, che altre non trovo. L’oggettività con cui stai affrontando questa cosa, senza ombra di retorica o di lamento, ha catturato tutta la mia attenzione. E mi è venuta voglia di incontrarti, di parlarti, di ascoltarti. Io sono un vecchio trombone e chissà se mai avverrà, ma voglio comunicarti questo mio desiderio.
Perché voglio parlarti? Per prima cosa, perché mi piacerebbe raccontarti di più di Franco Basaglia. Ma soprattutto perché penso che questa campagna, di cui pure parli, questo continuo parlare degli adolescenti, della loro sofferenza, del suicidio… per come è impostata nel dibattito comune è qualcosa che ci sta portando molto lontano da quella che è la concretezza della vita quotidiana, dalla realtà. Parlare degli adolescenti come di una generazione disperata, perduta, sofferente e da curare significa sottrarre sia i ragazzi che i cittadini alla relazione, alla collettività, all’incontro, allo scontro, alla concretezza, talvolta dolorosa, della “banalità” della vita ogni giorno. Medicalizzare, psicologizzare diventa il senso unico della risposta che finiamo per dare.
Si parla molto di allarme suicidio. Il suicidio negli adolescenti è quanto mai raro, tuttavia esiste. adolescenti accade con una bassa frequenza, dolorosissima certo, ma non è un allarme. Allarme è il tentativo, l’autolesionismo, il pensiero del suicidio, quanti di noi negli anni del liceo hanno sognato il loro funerale tra i pianti dei compagni, ma il suicidio in quanto tale c’è sempre stato.
Nel nostro paese il tasso generale del suicidio è intorno al 6 per cento, in Europa è quasi il doppio, e la quota degli adolescenti non è in salita né rilevante. Per quanto io l’abbia ricercato, non trovo un solo studio che mi dica che i suicidi sono aumentati. Tutto questo parlarne allontana da quella che è la concretezza di ciò che si deve fare prima di tutto per comprendere gli adolescenti. Non per impedire, vietare, ridurre, ricoverare e costruire muri. Al contrario siamo chiamati, come davanti a un torrente esuberante, a costruire argini e proteggere il corso tumultuoso di quella specialissima età della vita. Anche da lontano. E dare spazio alle fantasie, ai progetti, alle paure, ai ritiri tante volte necessari. Non c’è bisogno, credimi, dello psicologo per comprendere l’adolescenza. Penso a mia nonna che, di fronte ai tanti turbamenti di noi ragazzi, diceva a mia madre “e lass’o cresce..”. Lascialo crescere, deve crescere.
L’adolescenza è un’età della vita che porta in sé il bello e il brutto, il buono e il cattivo, il coraggio e la paura, la timidezza e la sfacciataggine, il voler fare l’astronauta e il pecoraio, l’innamorarsi di una ragazza e sentire gelosia per il compagno di banco… Insomma penso a quanti passi avanti potremmo compiere se la campagna per il nostro benessere si spostasse non tanto sugli psicologi (utilissimi per carità, come ovviamente le cure) ma su una seria attenzione per quelle che sono le politiche per i giovani. Intendo un’attenzione diversa per la scuola, che sia a tempo pieno per tutti, con strutture disponibili al quartiere e al rione. Penso sì a psicologi ed educatori, ma che siano in grado di stare sulla piazza, nell’atrio del supermercato, a condividere, a chiacchierare con i ragazzi.
Forse esagero, ma mi viene da pensare a Napoli, a Scampia, al degrado dal quale sembrava non potersi assolutamente risollevare. Invece ci sono stati interventi attenti, non tanto dello psicologo quanto di una libreria, di una biblioteca, di spazi per letture dei più piccoli. E poi campi di calcio, la palestra di karatè, la palestra di pugilato anche per le ragazze, un pezzo di università che hanno avuto il coraggio di spostare proprio lì. Tutto questo è salute, è benessere. Poi, per chi avrà bisogno di parlare… ricordo sempre le parole di Azzurro “neanche un prete per chiacchierar”.
E penso invece che c’è sempre un prete, un compagno, un amico disposto ad ascoltarti.
La realtà è che il benessere del paese non lo fanno gli psicologi o gli psichiatri. Il benessere del paese deve farlo la politica. E di questa strada, di questa politica che dovrebbe essere, vorrei parlare con te.
Peppe Dell’acqua, Forum Salute Mentale