Fino al 29 aprile, al Teatro delle Moline, a Bologna, uno spettacolo di Marinella Manicardi, ancora una volta con un testo di Marcello Fois. Stanze. Dove affaccirci per trovare cosa? Cosa c’è in queste stanze? Marinella Manicardi, nelle sue note di regia, risponde così…
“Ci sono due sorelle, una, organizzatrice di eventi, l’altra, eterna ricercatrice universitaria, che si incontrano nella casa dove è morto il padre, allontanatosi dalla loro vita quando erano ancora bambine.
C’è un padre morto e dunque assente, eppure interrogato, insultato, invocato, che ha vissuto molti anni in quel piccolo spazio, ora quasi vuoto di oggetti, non della sua presenza. Contro di lui, le sorelle vogliono disfarsi velocemente di questa casa, quasi a cancellare il dolore dell’abbandono subito, oppure appropriarsene velocemente, per la stessa ragione. L’apparizione di una vicina, che sembra conoscere molto bene la casa e chi la abitava, dilata ogni decisione. E’ la vicina gentile che porta i biscotti, ma anche la persona che ha ricevuto le confidenze del padre, il suo arbitrio orgoglioso.
E c’è la casa, modesta per quel che può valere, uguale a tante altre, abitata dai rumori che ne impregnano i muri. A saperli leggere quei rumori ci si accorge che appartengono al presente (tubi, scarichi, pompe), o al passato (risate, tonfi), se non ci spingiamo a pensare che possano essere anche rabbie o desideri che, rimasti intrappolati nelle stanze, ne compongono ora il paesaggio emotivo.
La scrittura di Fois affonda senza timori nel tragico, nelle motivazioni che ciascuna delle protagoniste mette in campo.
Le figlie, entrate in quella casa, regrediscono a un’infanzia in cui sperano di colmare il vuoto dell’abbandono, la vicina interpretando le ragioni del padre ne difende le scelte irrinunciabili, ma è la mancanza del padre che scatena rappresentazioni sostitutive, psicodrammi famigliari, un teatro degli affetti che continua a travolgere, nonostante le avvertenze, tutta la nostra cinica ragione.
In età classica i contrasti erano risolti da morti violente che scandivano le lotte di potere nelle saghe famigliari. Ora, nella società dell’apparire, fatta di eventi e tempo precario, il senso del tragico ha perso sacralità, e i contrasti si appianano con il sostituto del sangue: il denaro. Che, per sua natura però attribuisce valore e così si ricade nella trappola del possesso, delle identità, delle proiezioni, dei risarcimenti, nessuno si ritenga indenne. Stanze, è anche una tragedia ridicola nella sua potenza”.