Il mio contributo al numero di gennaio di Voci di dentro. A proposito dell’amore negato. Ricordando Mario Trudu, l’eterno ergastolano, che il carcere ha tenuto stretto a sé fino alla morte…
Quale terribile costrizione, del corpo e dell’animo, dà l’assenza forzata di una relazione sentimentale e fisica con persona dell’altro sesso. Provate a immaginare. E provate a immaginare quest’assenza lunga tutta la vita. Che per sopravvivere si può arrivare a negarla… Come mi ha insegnato Mario Trudu, quarant’anni di carcere senza un respiro e una morte ingiusta e crudele senza che gli fosse concesso, già molto malato, il permesso di rivedere per qualche istante la sua casa.
Curando il suo primo libro, Totu sa beridadi, la sua autobiografia, alla fine mi era sembrato che qualcosa mancasse… Mario era finito in carcere a 28 anni. “Possibile che in tutta questa storia non ci sia l’ombra di una donna?” gli chiesi durante un colloquio, e ancora vorrei rimangiarmi indietro quella domanda, ché lui quasi pianse…
Al colloquio successivo arrivò con una nuova pagina che qui ripropongo. Già il titolo che volle dare a quel breve capitolo tutto dice:
Quando la cosa più bella diventa dolore eterno.
“Ecco, ero giunto alla fine della libertà e il giorno del mio arresto si è spento anche il sogno di potermi creare una famiglia con la persona che amavo più di ogni altra cosa, la donna che in quel tempo di lavoro sui monti ogni volta che potevo andavo a trovare. Questo distacco è stato una cosa tremenda, troppo dolorosa anche solo parlarne, ed è il motivo per il quale in queste pagine non sono riuscito a parlare di lei, e non credo che per la mia compagna la sofferenza sia stata più tenue. Sono certo che le è stata per lungo tempo insopportabile, ma sono stato costretto dalla violenza dell’ingiustizia a dare uno strappo netto, per evitare che andando avanti nel tempo sarebbe stato ancora più difficile lasciarci. Fin dal primo contatto epistolare, anche se è stato difficile trovare le parole meno amare per dirle che era tutto finito, ho cercato di spiegarle meglio che ho potuto la mia intenzione di chiudere lì la nostra importantissima e bellissima esperienza di una sia pur parziale vita insieme. Una lettera che ho dovuto scrivere dozzine di volte. Non mi riusciva farne una copia senza che fosse inzuppata di lacrime. Ancora oggi, dopo lunghissimi anni, scrivendo i miei occhi si velano di inquieta tristezza mischiata a lacrime amare, anche pensando a quei figli che non sono mai nati. Ma la tecnologia di oggi è impermeabile all’umidità, le lacrime non sbiadiscono la scrittura, il computer nega la mia emozione più vera. Lei per lungo tempo ha continuato a scrivermi e io ho continuato nel mio doloroso e ostinato mutismo, credendo di fare la cosa più giusta, finché anche lei ha ceduto alla mia decisione. Con lei mi sono comportato da spietato dittatore, difficile capire se la nostra rinuncia e il suo enorme sacrificio siano stati veramente un bene, io posso solo immaginare quale è stato il suo dramma, ma è andata così. Se potessi tornare indietro non so se avrei dato un taglio così netto, magari avrei cercato di convincerla gradualmente, che per lei sarebbe stata la cosa migliore da fare. Oggi sento un grande rispettoso voler bene nei suoi confronti.
Per grande rispetto di questa meravigliosa donna non pronuncio nemmeno il suo nome, ma mai nessuno potrà cancellarlo, come pure la sua immagine dentro di me. La ringrazierò sempre per i ricordi bellissimi che mi ha lasciato”.
In seguito, in altri scritti, Mario parlerà della sua compagna Solitudine, che definiva una splendida “convivente”, per un sodalizio indissolubile lungo quarant’anni. Tanto che, racconta Mario con la tragica ironia di cui era capace, un giorno che si era allontanato dalla cella per un incontro con un gruppo di studenti, temeva si sarebbe infuriata per quella pur breve assenza. Ma al rientro in cella, racconta, “trovai la mia compagna intenta ad apparecchiare il tavolo già addobbato di fiori e candeline, mi avvicinai in punta di piedi prendendola alle spalle, la strinsi a me, lei si voltò e mi baciò. Tutta quell’ira, quella incomprensione era sparita, e passammo una serata felice, come se fosse l’inizio di una nuova storia…”