A proposito dei ragazzi del Beccaria, lo sguardo ampio di Vittorio da Rios, che ancora ringrazio.
“Francesca pone un grande e drammatico problema a noi tutti. Riprendendo una affermazione di Tiziana Maiolo: CHE CI FANNO I RAGAZZI IN CARCERE? Siamo al collasso non solo del sistema giudiziario-carcerario, ma di un sistema economico finanziario e aggiungo culturale in tutte le sue articolazioni. Che fare? Si chiedeva nel pieno della rivoluzione d’ottobre innanzi a drammatici problemi Lenin. E ora noi nell’era tecnologica, post umana, in una fase di totale disumanizzazione e stravolgimento dei paradigmi culturali e scientifici fin qui costruiti, come pensiamo di gestire questa transizione verso forme di vita appena percepite di cui non sappiamo dove ci condurrà, e quali costi umani ci saranno? E come è giustificabile innanzi a patrimoni di cultura giuridica come Gaetano Filangieri, Cesare Beccaria, e la straordinaria sintesi fatta tra tradizioni politiche, culturali, filosofiche, e religiose diverse, partorendo la carta Costituzionale,” la nostra Costituzione”, autentico tempio del diritto, che si tenga in carcere dei ragazzi? E più in generale che ancora si continui a mantenere il “carcere” come unico paradigma possibile dove estinguere il “danno causato” in condizione di ristretti? E come mai uomini e donne, ragazzi varcano la soglia di un carcere? A queste domande abbiamo noi che scandalosamente ci riteniamo una società “evoluta” il dovere di iniziare a dare delle risposte attendibili, quanto concrete e realistiche. Ma ritorniamo al che Fare? I numeri dei suicidi in carcere danno cifre impressionati. Le sofferenze che portano a scelte cosi estreme non turbano le nostre sopite coscienze? E non ci chiediamo quali responsabilità abbiano i residuati sistemi parlamentari-legislativi-giuridici, e di controllo per garantire un minimo ed elementare Stato di diritto? E la cultura la filosofia, e quindi gli intellettuali come si pongono innanzi a questo tracollo etico morale e alla situazione disastrosa e inumana in cui versano le nostre carceri? Emerge in modo sempre più incontestabile che il sistema si ritrova in grande ed irreversibili crisi. Una crisi strutturale innestata in una transizione economica culturale geopolitica che non trova pari nella storia dell’umanità. Un enorme sommovimento che ovviamente è planetario, che il potere economico finanziario sta gestendo con gli strumenti della repressione e del controllo, reprimendo e riempendo le carceri. Senza una strategia politica-culturale-economica all’altezza di scenari cosi drammaticamente inediti che abbia una dilatazione di tempo di qualche decennio come minimo. Fin da oggi si deve iniziare a costruire nuovi paradigmi fortemente innovativi culturali-economici-filosofici-scientifici, che significa dare vita a una nuova classe intellettuale, di alto profilo culturale in grado di traghettare senza particolare scossoni e traumi sociali questa “transizione” a forme umane e di convivenza tra diversi in un mondo ristretto. Questa è la grande sfida e il sistema giudiziario-carcerario, è una di queste, la più seria e importante, perché si tratta di verificare e constatare “effettualmente” se vi è o no un minimo di Stato di diritto. Non si pensi di parlare di carcere senza mettere al centro le cause che portano creature umane in carcere. E chi sono gli attuali abitatori delle nostre carceri a maggioranza se non le vittime dei CRIMINI DI SISTEMA? E ci siamo mai chiesti cosa sono i CRIMINI DI SISTEMA? Il crimine economico legalizzato da adeguati strumenti legislativi violando sistematicamente la Costituzione e i più elementari principi etici e morali che hanno determinato tali sperequazioni sociali spaventose, tra chi a moltissimo e chi poco o niente. Per dare un’idea di cosa si parla, al tempo di Platone nella sua Atene, il divario era di uno a cinque, ora è di uno a quattrocento-cinquecento milioni con le conseguenze a tutti ora ben note. Anni fa esattamente 8/8/1999 in ricordo di Pasquale Cavaliere morto suicida, in un articolo che aveva per titolo: QUEL’ANGOSCIA DELLA CATENA, cosi terminava. Ti sei portato sulle spalle il fardello finché ai potuto poi la catena ha raggiunto anche te, ed hai fallito l’ultima mediazione con te stesso. Non te ne faremmo una colpa: ci hai insegnato che quando un amico se ne va cosi la colpa e quasi sempre di chi gli sopravvive. Pasquale era libero, molto più gravi sono per noi le responsabilità di chi si suicida in condizioni di ristretto. Il lavoro è enorme che abbiamo innanzi, e ognuno dia la luce che può prima che sia troppo tardi. Un caro saluto.