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    “Non è sogno”. Un film per parlare di carcere nelle scuole


    “Perché faccio così schifo, perché dobbiamo essere così diversi da come ci crediamo?”. “Eh… figlio mio… Noi siamo in un sogno dentro un sogno…”“Ma qual è la verità? È quello che penso io de me? O quello che pensa la gente, o quello che pensa quello là lì dentro?
    “Non so com’è la vita fuori, sono entrato giovanissimo”… “comm’è brutto addormì sule, senza mai nisciun”… “Io mi sono anche impiccato. L’ho fatto per attirare l’attenzione, la prima volta. Ma l’ultima volta no” … “io fra un po’ esco, vado fuori nel mondo, pieno di sciacalli, di delinquenti, devo iniziare tutto daccapo”.
    Dialoghi fra Otello e Iago, da “Le nuvole di Pasolini”, intrecciati a echi de “La vita è sogno” di Calderon de la Barca, a riflessioni sul conflitto fra libertà e destino, verità e apparenza, che trasmutano nelle storie e nei volti degli attori del laboratorio teatrale Le Nuvole, del carcere di Capanne, a Perugia.
    Ho visto tre volte il film “Non è sogno”, di Giovanni Cioni, inchiodata alla sua forza, alla bellezza di un linguaggio fuori dall’ordinario. E mi sono chiesta delle reazioni che può aver provocato la visione di questo film in una platea di ragazzi che si affacciano alla vita.
    Perché Giovanni Cioni, convinto dell’importanza del confronto con i giovani, questo suo lavoro, con protagonisti che recitano una parte di un film che diventa recita della vita, ha iniziato a portarlo nelle scuole. Alcuni mesi fa in un cinema di Lucca, dove erano radunate classi di più licei, la settimana scorsa in un aula del Liceo Scientifico e Liceo Artistico G.Marconi di Foligno
    E certo nulla è scontato, per un film di un’ora e 40 non necessariamente facile, magari in condizioni di proiezione con luce e suono non perfetti come può essere in un’aula. E qualche timore la prima volta Giovanni Cioni l’ha avuto: “Mi sono detto: chissà se reggeranno questo film o usciranno via, perché è un tipo di cinema che non hanno mai visto”.
    E invece…
    “L’ho rivisto insieme a loro e ho sentito che ‘c’erano’. Dai silenzi, la senti, l’attenzione, tesa fino alla fine, davanti ai racconti che le persone fanno di sé: quando Ismael racconta di aver ferito con un cacciavite due connazionali che hanno provato a rubargli i soldi che aveva messo da parte per rifarsi una vita, o quando racconta della ragazza che aveva conosciuto a S.Vittore e le chiede di non andare più a trovarlo perché doveva stare ancora tanti anni lì dentro… quando ascoltano di Domenico che scrive una lettera alla figlia lontana… A Lucca, dove abbiamo avuto molto tempo per discuterne dopo, le domande non finivano mai”.
    Quali curiosità, quali stupori…
    “Non mi aspettavo di trovarmi davanti a ‘persone’, ha detto esplicitamente un ragazzo. E poi la necessità di sapere se ho continuato a sentirle, a incontrarle quelle persone…”
    “Tu parli di una certa categoria spettrale, di quelli che stanno in carcere, e il primo pensiero è sempre che se sono in carcere qualcosa hanno fatto… ma il cinema ti mette davanti a visi, gesti, a presenze… E’ stata importante anche la scelta di una rappresentazione frontale, sobria, su uno schermo verde, che permette di concentrarsi sui visi, sugli occhi e non c’è bisogno di altre immagini”.
    E devono averla colta tutta, questi ragazzi, la potenza di un modo di fare cinema, quella di Giovanni Cioni, che riesce a filmare la parola per raccontare l’anima, sempre alla ricerca dell’uomo e di quello che ci fa umani.
    “Mi sono reso conto che andando fuori dai linguaggi precostituiti si può davvero riuscire a parlare alla persone e questa è cosa molto confortante rivolgendosi a ragazzi che sono cresciuti in questi anni, nutriti di quello che hanno visto in televisione o sulle piattaforme”.
    Lo scorso anno avevo anch’io incontrato, virtualmente via Skype, alcuni ragazzi di una classe del liceo di Foligno, per parlare di ergastolo attraverso la storia di una persona che la docente di italiano e latino, Stefania Meniconi, aveva fatto conoscere loro. E mi sono molto piacevolmente stupita del coinvolgimento appassionato di quei giovani, scoprendo anche che qualcuno, nel confrontarsi con quella storia, aveva detto di aver cambiato opinione a proposito di chi è in carcere.
    “A quell’età ricordo benissimo come certi incontri hanno cambiato la mia vita (gli incontri ci cambiano sempre, ma a quell’età in modo particolare). Malgrado i condizionamenti c’è quel momento in cui riconosci che c’è qualcosa che va al di là di quello che conoscevi di già, e magari ti senti perso, magari puoi avere una reazione di rifiuto o di scandalo, ma poi questa cosa lavora dentro di te”.
    Parliamo sempre “del carcere degli altri”, ma sembra abbiano ben percepito, gli studenti, quanto il carcere sia riflesso della società, che il carcere siamo anche noi…
    “L’ho capito subito da come ti ascoltano, ti guardano, reagiscono, sì… perché si tratta di andare al di là del discorso del valore educativo del carcere (che non è), che pure ha la sua importanza, ma c’è anche il discorso su cosa racconta di noi il carcere, anche perché chi sta dentro ha la visione del mondo di fuori fondamentalmente attraverso la televisione. Un circolo vizioso terrificante”.
    E come hanno percepito gli studenti l’innesto letterario (Pasolini, Calderon de la Barca…)? Che magari all’inizio disorienta…
    “Hanno ben capito che il dialogo di Pasolini parlava della situazione dei detenuti, hanno ben percepito il senso de ‘la vita è sogno’, che magari all’inizio disorienta, ma poi diventa esplicito. Un ragazzo ha commentato: bello fare un film in carcere facendo finta che non si sia in carcere, arriva alle persone!”
    A volte, in contesti “non avvertiti”, può capitare ci sia qualche rifiuto…
    “Questo a volte è il riflesso della spietatezza del discorso che c’è ora, che non vuoi più neanche stare a sentire, e vediamo quello che succede a proposito delle riflessioni sulla guerra… ma proprio dove ci sono queste reazioni viscerali è interessante intervenire. I ragazzi sono comunque la società di domani, vivono il condizionamento e reagiscono al condizionamento, non sono ‘arruolati’ come lo sono tanti adulti, e il confrontarsi con l’altro, con l’umano, li tocca. Sono convinto di questo”.
    Ne siamo convinti anche noi, e ci auguriamo che questo cammino di Giovanni Cioni e del suo film attraverso le scuole continui e continui e continui…

    scritto per Ultimavoce.it




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