“Il violino di Sebastian”, ancora un magico racconto di Daniela Morandini. Nasce, questo racconto, ci spiega, da una leggenda gitana, dall’arte liutaia di Peppe Desiderio e dalle note di Alexis Lefèvre.
La leggenda della tradizione orale narra di un uomo che, protetto da una fata, inventa il violino e conquista la libertà. Questa riscrittura ripercorre la fiaba, si intreccia alla creazione del violino, a vecchie canzoni e ad una musica che va oltre il flamenco, attraversando la scelleratezza del mondo degli umani intorno a noi…
“In un tempo lontano, quando ancora non c’erano i violini, vivevano un Uomo e una Donna. Erano poveri, ma così poveri che il loro paniere quasi sempre era vuoto.
Un giorno, mentre la Donna lavorava al suo povero orto, apparse Mantuya, la Regina di tutte le fate.
“Trova una zucca che mi somigli – disse- e avrai un figlio che incanterà il mondo”.
Ma quando il bambino non fu più bambino, la guerra scoppiò e il padre fu costretto a lasciare la Madre:
“Ritornerò quaggiù nel mio paese/ dove si sente il mare/ quaggiù c’è la mia casa nascosta tra gli ulivi/ ritornerò da te, se Dio vorrà…”
Sebastian decise allora di andare lontano, e prima di abbracciare la Madre scrisse all’Imperatore:
“A tutti griderò di non partire più/ e di non obbedire per andare a morire per non importa chi/ per cui se servirà del sangue ad ogni costo/ andate a dare il vostro se vi divertirà/ e dica pure ai suoi, se vengono a cercarmi/ che possono spararmi/ io armi non ne ho”.
Attraversò mari e deserti, finché un giorno, in una grande città, udì l’editto di un Re:
“Chi più mi stupirà/ avrà in sposa la mia figlia più bella”.
Ma erano solo fandonie. Il re fece arrestare ogni giovane e anche Sebastian finì in prigione. Una notte gli apparve Mantuya, la Regina di tutte le fate:
“Non disperare figliolo – disse – ricorda quella zucca che tua madre mangiò. Prendi questa vecchia cassa e spezza le catene”.
Infine, si strappò quattro capelli: “Conservali con cura” disse, e lanciò la profezia: “Costruirai una Cosa Mai vista e tutto il mondo incanterai”.
Di nascosto dai suoi aguzzini, il giovane raccolse ogni legno. Ne fece fasce e controfasce. Le piegò col fuoco, ed iniziò a riprodurre la forma di Mantuya. Posò quella sagoma sul fondo della cassa e ne disegnò il profilo. Sgrossò, levigò, finché ottenne due parti, una concava, l’altra convessa. Ad ogni passaggio eliminò spessori sottili. Rifinì i bordi e intagliò la prima fessura a forma di effe. All’interno pose un listello di legno, un po’ inclinato. E cominciò a mettere insieme i pezzi. Rifinì i bordi con una lama affilatissima. Tutto doveva diventare una cosa sola. Ma ancora non riusciva ad afferrare quel corpo.
Con leggerezza sgrossò un ramo. Intagliò le volute a spirale che formarono la testa di un riccio. Verniciò cento, mille volte. Persino l’anima costruì. Eppure, qualcosa mancava ancora.
Allora ricordò quei capelli che gli aveva donato Mantuya. Posò quei fili sullo strumento e all’improvviso un lamento lunghissimo e un riso di gioia attraversarono quel luogo oscuro: era nato il violino.
La musica arrivò fino al Tiranno, che subito ordinò di liberare Sebastian.
Il giovane uscì, partì, ascoltò e suonò. Costruì un Castello per la Madre. Non sposò la figlia del Re e continuò il suo buon cammino. Suonò davanti alle chiese e di fronte al mare. Incantò le dame di Napoli e i gitani andalusi. Parlò ai signori e alla povera gente. Conquistò i teatri di Parigi e di San Pietroburgo.
Qualcuno insinuò che in quel violino si nascondesse il Diavolo. Ma non andò così: ne siamo certi noi che una volta lo abbiamo ascoltato. C’era Mantuya in quel suono, perché Sebastian mai più vide né galere, né guerre”.
Daniela Morandini