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    Chi ha varcato la soglia- 12^ testimonianza. Io sono colui che tenni

    E’ un insegnante, Mariella, a rispondere oggi alla “chiamata” di Cascina Macondo. “Ero emozionata e anche un po’ impaurita, perché nasconderlo? Quando l’agente che mi aveva accompagnata chiuse a chiave la porta dell’aula e mi trovai sola con un buon numero di persone detenute in una sezione di Alta Sicurezza, in un attimo mi immaginai sequestrata e usata come ostaggio! Niente di tutto questo successe….” leggete, della sua esperienza, che molto ha da insegnarci…

    “Sono un’insegnante di Lettere in pensione e la prima volta in cui ho varcato quella soglia è stato in una luminosa mattina di luglio di alcuni anni fa, quando sono entrata in una Casa di reclusione come docente volontaria di un progetto di scuola estiva della sezione carceraria di un Istituto di Istruzione Superiore di quella città. Di soglie nella mia vita ne avevo varcate altre: con il passare degli anni l’esperienza e la riflessione ci portano a mettere in crisi presunte sicurezze e a fare un salto oltre, superando ingiustificate paure e pregiudizi, per regalarci poi spazi inaspettati e fino ad allora inesplorati di conoscenza, comprensione e libertà. Ma queste sono soglie metaforiche, quella invece era ed è davvero una soglia, un limite che concretamente delinea due spazi ben divisi: il fuori, che mi lasciavo alle spalle, e il dentro, in cui un po’ alla volta entravo, attraverso controlli, lunghi corridoi, porte pesanti che venivano aperte e poi richiuse, il tintinnio dei mazzi di quelle grosse chiavi (ben presenti a chi frequenta un carcere), che nella loro silenziosa unicità trasmettono un messaggio inquietante: mai come in questo luogo si ha la percezione di come esse siano davvero simbolo di apertura e chiusura, il che contestualizzato significa libertà e reclusione.
    Io son colui che tenni ambo le chiavi del cor di Federigo, e che le volsi, serrando e diserrando,.. ( canto XIII Inferno). Serrare e diserrare non solo gli spazi, ma il cuore altrui – dice Dante. Aprire il cuore e la mente sono, per chi si inoltra in una realtà e in una comunità umana di cui si ha conoscenza soltanto attraverso le cronache e i luoghi comuni, prerequisiti per capire e mettersi in relazione. Non so se ne ero allora così consapevole, avevo accettato di entrare come insegnante volontaria in carcere sia perché ero curiosa, in senso positivo, di conoscere quell’ambiente e le persone che lì vivono, sia perché ho sempre amato la scuola e l’insegnamento. Mi intrigava poi la prospettiva di insegnare a degli adulti, esperienza che non avevo mai fatto.
    Ero emozionata e anche un po’ impaurita, perché nasconderlo? Quando l’agente che mi aveva accompagnata chiuse a chiave la porta dell’aula e mi trovai sola con un buon numero di persone detenute in una sezione di Alta Sicurezza, in un attimo mi immaginai sequestrata e usata come ostaggio! Niente di tutto questo successe, tutto procedette serenamente e fin dall’inizio io mi sentii a mio agio ed accolta: la lezione che avevo pensato e preparato (lessi loro una novella di Pirandello) fu motivo di scambio e di un vivace confronto.
    Da allora (era il 2014) ho continuato ad essere presente nella scuola, ho conosciuto molti detenuti e contribuito alla preparazione di alcuni per l’esame di maturità, ho partecipato a progetti di incontro con scrittori, ho visto le pareti degli ambienti scolastici diventare pitture bellissime grazie all’impegno e alla professionalità dei docenti e al fattivo coinvolgimento degli studenti, in breve ho constatato di persona l’importanza della scuola nei processi di formazione e di crescita personale.
    Non sono una buonista, non sono andata lì pensando di fare un’opera di misericordia a dei disgraziati cui portare una salvezza non richiesta, ci sono andata mantenendo le mie convinzioni (aderisco ai principi e alle iniziative di Libera) e ponendomi in una posizione di rispetto, che è stato reciproco, e di autenticità, mantenendo il mio ruolo senza autoreferenzialità e non nascondendo mai le mie idee anche quando erano in contrasto con quelle di qualcuno. La letteratura, tema dei nostri incontri, offre la possibilità di confrontarci sull’idea che abbiamo della vita e del mondo, ci apre spazi di conoscenza, ci fa riconoscere emozioni e sentimenti, ci interpella su ciò che è bene e ciò che è male, ci chiarisce a noi stessi: in sintesi ci mette di fronte alla complessità dell’animo umano. Ed è quello che ho sperimentato in questi anni di frequentazione del carcere, cioè che le persone non si esauriscono in un gesto o in un atto che hanno compiuto (senza peraltro sottovalutarne il peso e la gravità), ma sono questo e tanto altro, e che la scuola e ogni attività formativa offrono strumenti per scoprire o riscoprire aspetti nuovi di se stessi e per porsi in un cammino di ricerca e di consapevolezza. Le persone che ho incontrato sono diverse fra loro, con alcuni è stato più facile intendersi, con altri meno, ma questo succede normalmente nelle nostre relazioni; la diversità di idee e anche i conflitti possono essere importanti opportunità educative, se condotti e gestiti nel rispetto reciproco. Se continuo a varcare la soglia e mantengo rapporti epistolari con alcuni detenuti trasferiti in altre carceri, è perché oltre quella soglia ho intrecciato relazioni significative: è stato per me un percorso arricchente.
    Mariella .

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