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    Chi ha varcato la soglia- 10^ testimonianza. Riflessioni di un ex ragazzo…


    Arrivano a Cascina Macondo le riflessioni di un ex ragazzo, che la soglia l’ha varcata sin da adolescente. Ora ha una grave malattia, e solo dopo insistenze della moglie e un esposto alla procura, ottiene di essere ricoverato in un ospedale… e infine è ai domiciliari… e a chi, dentro, ha paura del covid, dice… Tutto da ascoltare…

    “Dopo avér trascorso quasi 30 lunghi anni della mìa vita tra càrcere minorile, case circondariali e case penali, pènso, dall’alto (o dal basso) della mìa esperiènza, di potér dire la mìa.
    Il motivo che mi ha fatto varcare la sòglia la prima vòlta è da attribuìre al solo fatto che, crescèndo in mèzzo alla strada, hò cominciato a desiderare le còse che un adolescènte pòvero e privo di punti di riferimento può volere in più.
    Quasi inevitàbile il destino di finire in càrcere.
    Non sono però un vittimista, uno di quelli che pènsano che la colpa sìa sèmpre degli altri.
    Il càrcere mi ha tòlto e mi ha dato. Va da sé che nel lungo perìodo trascorso nelle varie galère, hò potuto assìstere ai meccanismi del sistèma e vìvere in prima persona la vita carceraria.
    Banalmente pòsso affermare che in càrcere tròvi tanta povertà, ignoranza, e soprattutto tanta violènza, che a mìo avviso è dettata da una forma di cultura e di difesa.
    Pòsso anche assicurare che nel mìo lungo percorso dentro le mura hò trovato molte persone sensìbili che dèdicano il loro tèmpo ai reclusi, che vanno dai criminòlogi e psicòlogi, educatori, volontari, ma soprattutto docènti. L’univèrso carcerario è composto però anche di persone a cùi dei reclusi non impòrta nulla: queste persone pòssono èssere acculturate o ignoranti, ma si sènte che non hanno umanità e quindi a noi non pòssono insegnare nulla con l’esèmpio, ma solo scatenarci dentro i sentimenti più negativi come rabbia, rancore, in cèrti casi òdio.
    Da parte mìa hò intrapreso un percorso di istruzione nelle varie istituzioni e con grande interèsse hò studiato (con pèssimi voti…), recitato nei vari teatri e credo che tutto ciò mi abbia insegnato la tolleranza vèrso il pròssimo.
    Un bèl giorno, avvertèndo che respiravo male, vado in vìsita mèdica: come sèmpre, paracetamòlo e cortisone.
    Dopo vari cicli di medicine, un mèdico del càrcere decide di farmi fare una tac.
    Èsito funèsto: un problèma classificato “eteroplàstico”, più semplicemente adenocarcinòma.
    Con le lungàggini del càrcere e del magistrato di sorveglianza, il tumore intanto da 17mm passa a 47mm.
    Trascórrono altri dùe anni con la spiacévole sensazione di avere una bestia che ti cresce dentro mentre tu non hai diritto alla cura: metàstasi e linfonòdi.
    Quando apprèndo con certezza che il mìo problèma di salute è di quelli sèri, il mìo umore ha un colpo psicològico: sono pièno di ansia e di incertezze per vìa che in càrcere – con i tèmpi lunghìssimi e la burocrazìa carceraria che va dal magistrato di sorveglianza al DAP, di nuòvo al càrcere e infine al dirigènte sanitario – sarà difficilìssimo venirne a capo.
    Dèvo pur aggrapparmi alla vita e, per vìa del mìo caràttere, sènto di dovér lottare e di non lasciarmi andare. L’ansia però divènta ogni giorno più opprimènte e per distrarmi da essa inizio a frequentare i corsi di biodinàmica, teatro, educazione fìsica offèrti dalla scuòla, ma per vìa dei tèmpi lunghìssimi il mìo problèma va aggravàndosi.
    Nella mìa tèsta sò che non dèvo cèdere all’ansia o al rancore: non dèvono sopraffarmi e mi impongo di fare tutte le còse di cùi sopra, anche se la mìa situazione fìsica è sempre più débole.
    Finalmente, dopo un mìo esposto alla procura e martellamento di mìa moglie all’estèrno del càrcere, mi ricóverano alle Molinette per il primo ciclo di chemioterapìa.
    Mi sospèndono la pena e vèngo scarcerato, pòi mi danno i domiciliari: affronto dùe intervènti e tèrmino vari cicli di chèmio e radio.
    Òggi continuo con una terapìa antitumorale.
    Ora c’è il coronavirus, molti detenuti hanno paùra, ma ìo mi permetto di dire loro di non arrèndersi mai e di lottare. Ìo non sono guarito, ma sono vivo e vègeto e stò abbastanza bène. I problèmi più urgènti ora sono altri: sulla sòglia dei 60anni, mi tròvo ancora ancorato a problèmi di giustizia. Prèndo 290 èuro di pensione di invalidità e i problèmi econòmici pésano anche all’intèrno delle mura domèstiche.
    Condivido il pensièro di Dostoevskij, cioè che la civiltà di un paese si misura con lo stato delle càrceri. Qualcuno potrà obiettare sul fatto che sono di parte: è vero, non lo biàsimo, ma dalla mìa di parte ci sono 30 anni di branda.
    In bocca al lupo a noi tutti!

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