Rileggendo, prima di riparlarne, nell’incontro di questa domenica, a Palestrina…
"...Arrivarono infatti le note. Lente. Distanziate l’una dall’altra in tempi che non saprei dire. Ogni battito che dava sulla tastiera era il colpo dentro i confini di un punto nel quale sembrava concentrato l’infinito. Un tocco dietro l’altro, ad ogni nota, sembrava sforzarsi di sprofondare sempre più in fondo. Una nota dopo l’altra, come a cercare quella giusta che aprisse il passaggio verso latitudini sconfinate. Dove albergasse il centro del mondo. Fosse stato anche l’inferno. Erano suoni bellissimi. Non è stato facile ignorare quel pezzo di me che mi diceva: ma sì! perché non buttare tutto per aria, abbandonare ogni cosa, finalmente, e sprofondare anch’io lì dentro. A fare baccano, nel silenzio. Con lui. Il suono del pianoforte. Era per me la cosa più bella in questo mondo. Quel suono leggero che veniva dalla sua porta chiusa. Nei miei giorni con lui ha accompagnato ogni mio momento, i lavori in casa, le pause, le letture. Lo ricordo come ciò che sempre sapeva dare impeto e ritmo alle mie giornate. Ancora una volta, allora pensai, non potevo che essere, come sempre, dalla parte sua e della sua musica. Da qualunque parte fosse. Mi accostai alla porta. Restai ad ascoltare. Anche Micia si avvicinò, si acquattò sulle zampine e restò a guardarmi dilatando gli occhi come sanno fare i gatti quando un po’ s’inquietano, un po’ interrogano, senza però dire nulla. Poi il suo suonare divenne furioso. Come se l’avesse preso improvvisa un’immane incontrollabile voglia di distruzione." ..da "Angela, Angela, angelo mio..." Stampalternativa