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    A proposito di anniversari

    “Shock and awe”. Colpisci e terrorizza. ‘Titolava’ così l’operazione iniziata a Bagdad la notte fra il 19 e il 20 marzo del 2003. Per portare la democrazia. Democrazia a grappoli. Come le più micidiali fra le bombe. Se pure ha un senso stabilire una gerarchia della morte. Colpisci e terrorizza. Dando il via ad un altro capitolo della storia della distruzione. Che da quando la meccanica ci ha permesso di volare, e abbiamo cominciato anche a volare come falchi su cieli dichiarati nemici, si è arricchita di una nuova perversione. Lo squilibrato rapporto di forza fra chi è sopra e chi è sotto. Sopra, e sotto le bombe. Civili, soprattutto sempre, anche se sempre un po’ più tardi ci accorgiamo che le bombe non sono mai intelligenti. O lo sono fin troppo, perché fin troppo bene colpiscono e terrorizzano. Ma ci sono cose che non possiamo fingere di non sapere. Quando invochiamo guerre giuste e pulite.

    Bombardare. Sembra quasi una parola pulita, quattro sillabe senza traccia di sangue… ma, su tutto iperinformati, non possiamo ignorare cosa significhi realmente morire sotto un bombardamento. Tecnicamente, intendo. Cosa sia bruciare o ‘sciogliersi’ alle alte temperature di un bunker, asfissiare in fondo a una cantina, soffocare nel fuoco che risucchia l’aria dai polmoni. Invito a leggere i testi delle lezioni tenute nel 1997 a Zurigo da W.G.Sebald, sulle bombe che piovvero sulle città tedesche nella seconda guerra mondiale. 1943 e dintorni. Sono parte di un volume: Storia naturale della distruzione, edito da Adelphi. Dovrebbe essere adottato nelle scuole. Sebald ci porta nell’epicentro della distruzione. Con precise testimonianze. Implacabile. Da gigante della letteratura qual è. Immagini a cui ripensare, ogni volta che sentiamo parlare di bombe che cadono. Su chiunque. Un solo episodio, dell’estate del 1943. 65 anni fa. La notte dell’attacco ad Amburgo. Un gruppo di sfollati che cercano di prendere d’assalto un treno. Una valigia di cartone cade. “… si rompe e ne esce fuori il contenuto. Giocattoli, un necessaire per il cucito, biancheria bruciacchiata. Per finire, il cadavere di un bambino carbonizzato, ridotto a una mummia, che una donna ormai al limite della follia si trascina appresso come vestigio di un passato solo pochi giorni prima ancora intatto” (p.39). Colpisci e terrorizza, appunto.

    “Carneficina e disperazione”, titola oggi, cinque anni dopo l’attacco all’Iraq guidato dagli Stati Uniti, il rapporto di Amnesty International. Che ricorda che “se l’amministrazione di Saddam Hussein fu proverbiale per le violazioni dei diritti umani, la sua destituzione non ha portato alcun sollievo alla popolazione irachena”. Resoconti parlano di 150, 180mila morti. Ma nessuno, ricorda Amnesty, è in grado di stabilire quante persone siano state uccise dal giorno dell’invasione.

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