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    Voci di dentro

    Voci di dentro… che in questo numero ha accolto anche un racconto di Mario Trudu, Oceani di libertà, da “la mia Iliade” edito da Strade bianche di Stampa Alternativa…

    “Mi si è un po’ allargato il cuore leggendo, all’inizio di questo mese, la notizia che per la prima volta un ergastolano ostativo ha ottenuto la liberazione condizionale nonostante non abbia collaborato con la giustizia, cosa che per via del 4 bis è condizione necessaria (e sufficiente?) per accedere ai benefici. Effetto della sentenza con la quale la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla incostituzionalità della retroattività della riforma “spazzacorrotti”, pronuncia “storica” della quale dunque il magistrato di sorveglianza ha ben tenuto conto… La persona in questione era stata condannata all’ergastolo per delitti commessi nel 1990, prima della norma che nel 1992 ha inasprito il 4 bis, subordinando la concessione dei benefici alla scelta di diventare collaboratore di giustizia.

    E come non guardare con rinnovata speranza alla Suprema Corte, davanti alla quale ora pende questione che riguarda proprio la preclusione automatica alla libertà condizionale per chi non è collaboratore di giustizia.

    Mai più ostativi, c’è da augurarsi… ché qualcuno ne ho conosciuto, e l’ansia che si prova per loro (immaginate, se ergastolani, in carcere fino alla morte, e c’è chi ne è morto…) ti si attacca alla pelle, perché quando hai guardato negli occhi qualcuno che sai dal carcere mai uscirà, difficile scollarseli dall’anima, quegli occhi…

    Per questo ho seguito fra l’altro con attenzione l’ultima edizione dei Seminari Preventivi Ferraresi (preventivi appunto perché riguardano questioni di costituzionalità pendenti davanti alla Corte costituzionale, ma non ancora decise), dove proprio del fine e della fine della pena si è trattato…

    Appuntamento interessantissimo (e se volte saperne di più rimando al sito www.amicuscuriae.it, dove è l’intera registrazione dell’incontro), e tutto da imparare per me che non sono giurista né avvocato. Ma proprio perché non giurista né avvocato, ma persona che in un modo o nell’altro si è occupata di informazione, molto mi ha fatto riflettere il fatto che Franco Corleone, garante dei detenuti della Toscana, e che di giustizia da sempre si occupa, ha puntato il dito sul problema dell’informazione, della comunicazione…  di una politica e di una informazione che, per dirne una, ogni anno che torna l’anniversario dell’omicidio di Aldo Moro, fra tante parole e tanta retorica, mai ricordano le sue pagine “nettissime” contro l’ergastolo. Che è questione non da poco…

    Già, in questi anni che, occupandomi di carcerazioni, per quel che posso ne parlo e ne scrivo cercando di portare fuori le voci di dentro, mi capita spesso di fermarmi fra lo stupito e l’angosciato, rendendomi conto di quanto sia difficile, difficilissimo, aprire brecce nel muro dell’indifferenza, per non parlare dell’ostilità, addirittura, incontrata in ambienti che non siano di quelli che di carcere si occupano. Sembra proprio che per i più, da destra a sinistra, da sopra e da sotto, chiudere le persone fra quattro mura rimanga il sistema migliore e irrinunciabile per vivere tranquilli. Figuriamoci quando si parla di persone che hanno commesso reati puniti con pene lunghe o eterne come l’ergastolo.

    E molto è prodotto di un modo di fare informazione e comunicazione politica che ci rimanda un’immagine distorta della realtà, riflesso di uno specchio deformante, come quello dei lunapark… che negli ultimi dieci-venti anni è riuscito a fare aumentare il senso di insicurezza in misura inversamente proporzionale al numero dei reati commessi. Mai come negli ultimi anni si sono registrati così pochi omicidi e rapine, eppure mai come negli ultimi tempi c’è stato un così forte dichiarato “bisogno di sicurezza”.

    Sempre Corleone ha però ricordato il traguardo raggiunto con la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, che non è avvenuta negli anni “illuminati” delle riforme. Ma appena qualche anno fa, in piena diciamo recessione del nostro sentire. Quindi perché non sperare…

    E però, come non ricordare che alla chiusura degli OPG si è infine arrivati dopo le tremende immagini che tutti abbiamo visto con la visita della commissione d’inchiesta guidata da Ignazio Marino, che ci ha come svegliati da un insano torpore.

    Ora, se le carceri avessero pareti trasparenti… se vi entrassero più libere telecamere, se si vedesse quel che realmente accade, come si vive, o non vive… e se ne sentisse l’odore, l’inconfondibile odore… se solo ci si chiedesse come le paure del nostro oggi vengono vissute là dentro…

    E non ci vuole neanche tanta fantasia per immaginare anche solo cosa possano diventare le paure, che in questi tempi di virus proviamo noi fuori, nell’animo di chi è dentro, al chiuso affollato di una stanza buia… Basterebbe pensare alla ferocia di decisioni che vogliono anche le persone gravemente malate comunque ben rinserrate fino alla morte. Sappiamo a volte di ex-criminali di “rango” e che fanno notizia… Cutolo e gli altri… non sappiamo di tanti altri, i cui nomi non ci direbbero nulla, a noi pur lettori di cronache nere… Afflizioni che si aggiungono ad afflizioni che nulla hanno a che fare con la necessità di un sistema di pene.

    Tornando dunque alla Corte Costituzionale, chiamata a decidere, di fatto, dell’ostatività e che potrebbe aprire uno spiraglio in quell’orrore della morte viva che è il fine pena mai. 

    Due anni fa, ricordate?, sette membri della Suprema Corte hanno fatto un viaggio nelle nostre carceri. Iniziativa dalla valenza altamente simbolica, l’incontro con la Costituzione… Ne è stato fatto anche un film. “Viaggio in Italia: la Corte Costituzionale nelle carceri” di Fabio Cavalli.

    Sono andata ad una delle presentazioni romane. Bello il film, pieno di umanità e a tratti commovente. Eppure, eppure… ho provato un pizzico di disagio, nel vederlo, per via di un che di troppa luce, di troppa pulizia, di nessun odore… D’altra parte per tanto importanti ospiti non si possono che apparecchiare le stanze migliori. E, non lo dico con ironia, da padrone di casa è quel che avrei fatto anch’io…

    Ma mi ha come levato un peso dall’animo l’intervento, alla fine della proiezione, del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, che ha certo avuto parole di apprezzamento per il film e per l’iniziativa della Corte Costituzionale, “ma -ha detto- non pensate che il carcere sia questo”. Perché è davvero difficile da svelare la reale condizione del vivere penitenziario, la sua tragica durezza. E anche lui, il procuratore, ha insistito sulla terribile propaganda securitaria di questi tempi.

    A proposito di comunicazione…

    Ecco, pensando alla Corte, a quello che gli alti magistrati hanno visto, a quello che davvero hanno comunicato loro gli incontri con gli uomini e le donne che hanno visto e ascoltato… Voglio pensare che siano riusciti a sentire le parole non pronunciate, le urla sussurrate dalle porte non aperte…  che davvero abbiano sentito l’odore, per chi viene da fuori insopportabile, del carcere… che abbiano immaginato cosa significhi vivere lì dentro fino alla fine dei propri giorni… e ci regalino infine questo passo avanti verso la fine dell’ergastolo.

    “La pena dell’ergastolo, che priva com’è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento ed al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumana non meno di quanto lo sia la pena di morte”, disse nel corso di una delle lezioni, tenute nel 1976 presso la Facoltà di Scienze politiche di Roma, Aldo Moro. Aldo Moro, che riteneva il diritto “qualificato dal suo collegamento con alcune grandi idee, con alcuni grandi valori, con alcuni dati della civiltà umana”.

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