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    Non si può morire così

    circolo cabanaIl Circolo culturale cabana di Rovereto, che molto ha seguito la vicenda di Mario Trudu, oggi lo ricorda così…
    “quella che vive la vita morta del carcere, e l’altra è quella che percorre attimo per attimo la vita da me passata da uomo libero. A volte mi ritrovo sopra un colle ad ammirare tutto ciò che mi circondava e col tempo son riuscito ad andare oltre i posti che conosco. Io sfuggo il carcere non lo vivo perché è una cosa contro natura e io posso vantarmi di essere un uomo che vive secondo natura…”

    Mario Trudu pastore sardo di 69 anni, in carcere da 40, se ne è andato una notte di autunno, ventiquattr’ore dopo che la Corte Costituzionale, esprimendosi sull’ergastolo ostativo, aveva confermato quanto perversa persecuzione e vendetta sia stata la sua infinita detenzione.
    Se ne è andato dopo che ai primi di ottobre, lo Stato, con colpevole ritardo, un macigno che pesa su “lor signori”, gli aveva permesso il ricovero in ospedale. Un lungo, difficile intervento chirurgico e poi pochi giorni, maledettamente troppo pochi, di febbrili speranze andate perse per sempre alle 10 di sera di giovedì 24 ottobre. Ci rimangono i suoi disegni, i suoi libri, le tante lettere che in questi anni ci hanno permesso di conoscerlo, apprezzarlo e sentirlo come nostro, vero, caro amico. Le sue parole da una di pochi mesi fa, ci piombano addosso e non se ne andranno mai: “La compressione senza limiti che mi ha imposto questo Stato ”.
    Senza alcun limite.
    Fino all’ultimo, fino all’ultimo respiro.

    L’avevamo accarezzata l’idea che lo Stato, lo Stato di pietra, sbarre e cupe ombre, avesse ceduto e che presto avremmo potuto andare in Sardegna, nella sua Arzana, e finalmente conoscerci di persona. Mario non ha mai potuto cenare con noi, eppure da ora le nostre cene del martedì non potranno più essere le stesse. Quante volte si erano chiuse con “C’è una nuova lettera di Mario”, quante volte ci ha fatto sorridere, ci ha divertito, sorpreso, ci ha trasmesso entusiasmo. Si entusiasmo, lui a noi, lui, da una cella lunga 40.anni.

    La tristezza nelle parole della avvocato di Mario che si sente addosso tutta l’inutilità del suo lavoro, è la stessa nostra, ma la vinceremo nel trasformarla in un ancor più grande e convinto impegno. Quell’impegno che ci siamo presi dieci anni fa, dopo l’atroce morte di Stefano “Cabana”. L’impegno di violare il carcere, di violare mura ed inferriate, di violare un mondo dove tutto succede nel buio senza che esca una sola voce.

    Verrà il giorno in cui una società veramente libertaria ribalterà il carcere fin dal suo stesso concetto in essere, intanto oggi la sentenza della Consulta subisce gli attacchi da politici bipartisan, media, magistrati uniti in uno stonato coro di solenni falsità ed allarmismi del tutto infondati. Proveranno a ignorarla o bypassarla, ma nessuna sorpresa e timore, la battaglia contro l’ergastolo ostativo è una battaglia della società civile che parte dal basso, una battaglia di donne e uomini che inorridiscono a quel “marcisca in galera” urlato sempre più spesso, rivolto contro chi non importa. Una inaccettabile violenza verbale. Anziché spiegare e colmare diffidenze, le si cavalca per trasformarle in paure e viscerale odio, alla ricerca del più facile e misero consenso elettorale, calpestando imprescindibili valori universali quali giustizia e umanità con il primo che non può certo essere in contrasto con il secondo.

    Andiamo oltre la sentenza della Consulta e rilanciamo ancora più determinati l’abolizione perpetua dell’articolo 41 bis, il cosiddetto carcere duro, perfino più anticostituzionale dello stesso ergastolo ostativo, perchè impedisce al condannato addirittura il semplice accesso al percorso di ravvedimento stabilito dall’articolo 27 della Costituzione.
    “Nemmeno la possibilità di provarci”. Con quale spirito, quali sentimenti, quali aspettative può un “reo” rientrare nella società civile dopo aver scontato tutta la sua pena in regime di 41 bis?
    Il carcere potrà anche rinchiudere qualche mostro, sicuramente si impegna a forgiarne di nuovi.

    “Non si puo’ morire cosi’”, recitava il nostro primo striscione all’indomani della morte in carcere di Stefano. Tutt’altri fatti e circostanze per Mario eppure quello striscione è di nuovo qui davanti ai nostri occhi e la stessa rabbia, lo stesso impegno di allora, nel gridare “mai più”.

    “Mai più”

    Il nostro ciao e la nostra promessa a Mario.

    Circolo curlurale Cabana   — Rovereto

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