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    Berretti rossi, nastri, cappelletti… e le paure del potere…

    bobiIl potere è paranoia. C’è poco da fare… ho pensato ascoltando, qualche mattina fa, la rassegna stampa estera di radio3, e sentendo delle autorità ugandesi che hanno vietato ai civili l’uso di berretti rossi. Un cappello rosso, si spiegava, è indossato da alcuni reparti militari, e da ora qualsiasi berretto rosso sarà definito “abbigliamento militare”, quindi a loro uso esclusivo. Pena la reclusione fino ai cinque anni.
    I copricapi rossi devono davvero far tanta paura al regime ugandese… Perché, si spiega, a indossarlo è Bobi Wine, famosa pop star che canta di giustizia sociale, e la musica, si sa, arte di origine magica, ha sempre una certa relazione col demoniaco, come spiegava Papini.
    E qui il demonio ci ha proprio messo la coda se Bobi Wine, (al secolo Robert Kyagulanyi Sentamu), più volte arrestato con l’accusa di sovversione e tradimento, è diventato anche uno dei più noti oppositori del regime. E il suo basco rosso, indossato dai seguaci del movimento People power, è diventato “simbolo di resistenza”.
    Cappello pericolosissimo, dunque.  Immaginate che incubo per Yoweri Museveni, al potere da più di trent’anni, e ora che Wine ha annunciato che si presenterà alle prossime elezioni presidenziali… facile immaginare le notti del vecchio presidente tormentate da sogni infestati da baschetti rossi… Meglio non vederne più in giro, si sarà detto, almeno di giorno…
    E già, saprà anche lui che i berretti rossi non hanno portato mai bene a chi governa. Avrà pure lui sfogliato libri di storia, infestati, anche loro, da tanti berretti rossi, a partire da quelli calzati in testa dai galeotti di Marsiglia liberati durante la Rivoluzione francese, passando per il rosso del berretto frigio di quella dannata Marianne, simbolo della Francia giacobina, esportato nelle rivoluzioni che hanno percorso come un brivido l’America dei rivolgimenti anti coloniali…
    Berretti e cappelli come fumo negli occhi…
    Ce n’è per tutti e di tutti i tempi. Una nota a caso, da una circolare della polizia di Pesaro del 1850: “Si è osservato che in onta di reiterate avvertenze e divieti intorno l’uso di cappelli di color bianco con nastri ed orlatura nera, o verde o rossa nonché di altri così detti all’Ernani, e che in qualunque modo per la forma e per il colore escono dall’ordinario, seguono tuttavia ad usarne taluni non senza ammirazione dei buoni”. Quei cappelli, ornati di nastri, erano segnale di sostegno alla causa dell’indipendenza dell’Italia. E come non inquietarsi, per quel richiamo all’Ernani…
    – Si ridesti il Leon di Castiglia / e d’Iberia ogni monte, ogni lito / eco formi al tremendo ruggito…
    E camminando camminando per i sentieri convulsi della Storia, arrivando ai nostri giorni, in meno esaltanti orizzonti… sapevate che in carcere sono vietati i cappelli con visiera rigida? Richiamo chissà, al simbolo mafioso della coppola, se in un istituto anni fa fu addirittura vietato il cappotto perché “simbolo di una leadership mafiosa”…
    Ma quale misterioso potere nasconde un cappello, da togliere il sonno a chi il potere in fondo ce l’ha davvero…
    Cercando la risposta in vecchi testi, che narrano di simbologie e dintorni…
    Ecco. “Anche quando andato in disuso, il simbolismo del cappello mantiene il suo valore… il suo significato sembra corrispondere a quello della corona, segno del potere, della sovranità, specie in passato quando si trattava di tricorno”
    Ancora: “Il cappello in quanto copricapo rappresenta anche la testa e il pensiero ed è simbolo di identificazione. Cambiare cappello significa anche cambiare idee e avere un’altra visione del mondo…”.
    Ritornando all’Uganda… non è tricorno né ancora si è trasformato in corona il basco rosso di Wine, ma certo rischiano di minare un trono finora ben saldo le idee tenute al caldo da quel baschetto rosso che il rapper-politico ugandese continua a tenere ostinatamente in testa, senza neppure cambiarlo di colore…
    Ma andiamo avanti. Cercando di simboli, obbligatorio riprendere il leggendario testo de “I Tarocchi” di Oswald Wirth. Il libro (magia…) mi si apre sull’immagine del Bagatto, che è Il Mago, il Giocoliere…
    Fa notare Wirth che il Bagatto ha un cappello a larghe tese ed è un otto coricato, il simbolo dell’infinito. “E’ lecito accostare questa aureola orizzontale alla sfera vivente costituita dalle emanazioni attive del pensiero”. “Portiamo intorno a noi – continua- il nostro cielo mentale, in cui il sole della Ragione percorre l’eclittica mantenuta negli stretti limiti di ciò che ci è accessibile”.
    E non è un caso che il Bagatto sia la prima carta degli arcani maggiori, con quel suo cappello che richiama l’infinito, “perché l’universo visibile è soltanto magia e prestigio, il suo Creatore sarebbe dunque l’illusionista per eccellenza, il grande prestigiatore che ci stordisce con i suoi giochi d’abilità. Il turbine universale delle cose ci impedisce di percepire la realtà”
    Insomma, “noi siamo balocchi di apparenze prodotte dal gioco di forze a noi sconosciute”
    Quindi, bisogna aver comprensione. Chissà quali forze sconosciute giocano con le teste di chi comanda…
    Così, è dell’altro ieri la notizia, dall’Uganda, dei primi arresti, anche se “il berretto rosso non offende nessuno”, come hanno detto i giovani seguaci di Bobi Wine bersaglio degli strali del governo. “Quando lo indossiamo ci identifichiamo con la causa per un’Uganda migliore”.
    Ma state tranquilli, Bobi Wine, giovane e determinato (e forse lettore anche lui di Wirth e consapevole del potere dei simboli), ha assicurato che continuerà a indossare il suo rivoluzionario caschetto. E a popolare di incubi rossi i sogni del vecchio Museven…

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