Solo venerdì scorso Mimmo Lucano ha potuto rivedere il padre, gravemente ammalato, ora ricoverato nell’ospedale di Catanzaro. Cosa che non è stata possibile finché era nella sua casa di Riace.
E pensare che per chi è detenuto c’è una norma che prevede il “permesso di necessità”, che consente, nel caso di pericolo di vita di un familiare o di un convivente, di andarlo a visitare. Con le cautele previste e con autorizzazione del magistrato di sorveglianza, naturalmente. Ma Mimmo Lucano non è detenuto, ha “solo” un divieto di dimora, è “solo” esiliato dalla sua città, e per gli esiliati non c’è norma che preveda permessi di sorta…
C’è chi per lui si è appellato al presidente della Repubblica, ché altre strade sembra non essercene, per abbattere un divieto che Mauro Palma, garante delle persone sottoposte a limitazione della libertà, definisce dal sapore punitivo e molto preoccupante. Ma nulla…
Leggo e rileggo della sua vicenda, dal rinvio a giudizio, alle accuse presto smontate dal giudice delle indagini preliminari, alla sentenza della Cassazione che annulla il divieto di dimora… al tribunale del riesame che lo riconferma…
Avrebbe del surreale se non fosse scandalosamente reale. Domenico Lucano, che tanti anni fa avevo incontrato, all’inizio della sua avventura, giovane volontario pieno di entusiasmo e progetti per il suo paese, ora è prigioniero dell’infamia di questi tempi feroci. In un esilio politico, che altra definizione non trovo.
E, diciamo la verità, se ne parla poco, rispetto al clamore (e alle tifoserie) scoppiate a suo tempo intorno a Riace e al suo sindaco “amico degli immigrati”. Ma tolto di mezzo il pericolosissimo modello Riace, cosa può importare di un ex sindaco e della sua vita personale fatta a pezzi…
E vien da dirgli: “Corri Domenico, viola il divieto, fa un salto a casa!”
Mali consigli, e non me ne scuso… ma sto giusto leggendo un libro che consiglierei a tutti. Disobbedire, di Frédéric Gros. Basterebbe il sottotitolo. “Disobbedire. Perché il mondo va a rotoli e disobbedire ad esso è un’urgenza bruciante, un’affermazione di umanità”.
Saggio interessantissimo (e piuttosto scomodo), anche perché prima e più che spiegare perché disobbedire, il filosofo analizza le radici dell’obbedienza.
E per iniziare la sua riflessione Gros riporta, con una trama (come spiega) un po’ libera, il racconto de “Il grande Inquisitore”. Lo conoscerete tutti, uno dei punti più intensi dei Fratelli Karamazov, il romanzo di Dostoevskij.
“Perché sei venuto a disturbarci?”, chiede l’Inquisitore a Cristo, ritornato in terra nella Spagna del XVI secolo, al tempo appunto dell’Inquisizione.
Già, perché viene a disturbarci questo Cristo che non viene a portare obbedienza “ma esige da ognuno che sposi la libertà nella quale ritiene abiti la dignità dell’umano”.
Grande carico, questa libertà, troppo pesante… spiega nel suo lungo monologo l’Inquisitore e “siccome noi amiamo veramente gli uomini, abbiamo preso sulle nostre spalle il fardello della loro libertà… sapevano che accettando di obbedire avrebbero conosciuto il conforto di non essere più responsabili… noi uomini della chiesa abbiamo tradito il tuo messaggio per amor loro…”.
“Amore è proteggere più che esigere l’impossibile. Amore è privare della libertà chi ne è evidentemente incapace”.
Non una parola pronuncia Cristo che, quando il vecchio Inquisitore ha terminato di parlare, in silenzio, lo bacia sulle labbra.
Bacio di perdono? Si chiede Gros. Bacio di gratitudine? Oppure bacio di ribellione, “ironico e mordace”?
Un bacio, mi piace pensare, rivoluzionario come il suo silenzio.
Interrogandosi sull’obbedienza e sulla libertà, se questa sia davvero così desiderabile, Gros attraversa il pensiero filosofico e politico di chi su obbedienza e libertà, libertà e responsabilità ha ragionato. Tommaso D’Aquino, Arendt, Foucault, Machiavelli, Simone Weil… ci fa conoscere lo stupore e la rabbia di Etienne de La Boétie che si chiedeva “come è possibile che tanti uomini, tanti borghi, tante città sopportino un uomo solo?”. Ci conduce, Gros, nel cammino dal consenso alla disobbedienza civile. E la libertà, quella vera, che è responsabilità e obbedienza alla propria coscienza, è un salto che dà brividi…
Mi fermo su un passo del capitolo a proposito di Thoreau: “L’obbligo di disobbedire è legato alle esigenze della vera vita. La vera critica non sono le parole (che è teoria), ma la disobbedienza (pratica)”. Ed è l’individuo che è sacro, “individuo come capacità d’azione, iniziativa, inventiva, tutte le qualità che inciampano contro le assurde pastoie, le regolamentazioni abusive e i pesanti vincoli della macchina dello stato. Ma è soprattutto nell’individuo che si fa udire la voce morale, l’appello alla giustizia”. E se questo porta all’anarchia non importa, perché “prima del mondo va salvata la coscienza”.
Ancora un appunto dal libro: “Se le decisioni sono risultato di calcolo e statistiche, disobbedire diventa affermazione di umanità…”
Mimmo Lucano, dunque, perché non corri a rivedere il tuo paese, la tua casa…?
Ancora la risposta è nel libro di Gros. Parlando di Socrate che, prigioniero, pur avendo occasione di fuggire, accetta la condanna che sa ingiusta. Perché accettare la sanzione non significa necessariamente legittimarla, ma piuttosto far scoppiare lo scandalo. Così “si intenta il processo al tribunale che ci condanna”.
Penso ancora a Mimmo Lucano che, pur commosso per quanti lanciano appelli per lui, rifiuta di invocare quello che sarebbe un atto di pietà.
Lui che sa, nel profondo, di essere nel giusto, reclama giustizia, non commiserazione. E con il suo silenzio mite, fedele in piena libertà alla sua coscienza, e disturbando le nostre, intenta il processo a chi lo condanna.