A tratti incrociando le immagini della neve, caduta come il silenzio, sulle terre d’Amatrice, Accumuli, Arquata del Tronto… e tutti quei paesi, che magari neppure conoscevamo, i cui nomi abbiamo imparato a pronunciare con le cronache del terremoto di ormai quasi tre anni fa, e che forse già abbiamo dimenticato. Eppure il terremoto è uno degli avvenimenti più traumatizzanti, forse quello che lo è di più, per una comunità…
“Osservare la neve mentre si deposita sulle rovine è come assistere a una tragedia che si rinnova”. Sono parole di Stefano Zanut, che è dirigente del corpo nazionale dei vigili del fuoco, e dei suoi colleghi ha raccolto le testimonianze di quei giorni d’emergenze, per regalarci “racconti da un mondo sottosopra”. “Cronache dalle macerie”, il titolo del libro che ne è nato, che a quei giorni, ma anche ai problemi irrisolti dell’oggi, mi ha riportato, attraverso lo sguardo di soccorritori tempestivi e discreti come i vigili del fuoco…
Un punto di vista, quello di queste cronache, che apre squarci su un mondo a noi sconosciuto…
E’ proprio vero, come si racconta…
I vigili del fuoco…
ci accorgiamo di loro quando l’emergenza occupa tutto lo spazio dei nostri pensieri. Poi, una volta compiuto il loro dovere, “tornano invisibili fino alla prossima richiesta d’aiuto”. Tornano, a noi, invisibili, portando ogni volta con sé il ricordo di giorni, volti, nomi che, loro, difficilmente dimenticheranno. E leggere le cronache da tante macerie, vedere attraverso i loro occhi quel che accade quando ogni riferimento è perduto, significa ancora rabbrividire, ma poi anche sorprendersi, sorridere, commuoversi. Sorprendersi intanto di tanta umanità, fragile e forte…
Noi tutti pensiamo la “macchina” per gli interventi sempre pronta e rodata: organizzazione, ruoli strategici, strutture da allestire, centri operativi, coordinamento, schemi operativi magari inediti ma sperimentati in tante esercitazioni… Ma, l’avremmo mai immaginato? “Ogni volta scopriamo di essere alle prime armi”…
Descrivere cosa si prova a entrare in una zona rossa come quella di Amatrice? “Non serve neanche l’esperienza accumulata negli anni per trovare le parole, perché ogni storia è una nuova storia e non si può attingere al patrimonio di emozioni e sguardi del quotidiano”.
E come si può espellere, davanti ai volti della tragedia, i carichi emotivi? Bisogna, “altrimenti si rischia di cascarci dentro”. E capita, anche, che i soccorritori diventino vittime, che quelli andati per confortare abbiano a volte bisogno di essere essi stessi confortati…
Non è facile accompagnare persone, soprattutto anziane, nei luoghi dove hanno abitato e dove troveranno solo macerie. Non è facile superare una giornata in cui si recuperano solo cadaveri. Ma poi c’è l’adrenalina, che “triplica l’energia, e non la smetteresti più di andare avanti, di dare una mano”…
Quello che colpisce, soprattutto, in queste pagine, è la capacità di fondere competenze tecniche e umanità.
Già, perché non sempre si riesce a dire no a richieste che “ci mettevano un po’ in difficoltà”. Come quella della famiglia di Forcella Montecalvo (“una frazione di sei case che in quei giorni non esisteva nemmeno per Google maps, e l’ho inserita io stesso” racconta Vittorino) che chiede di recuperare da alcuni locali delle bottiglie di vino, qualche sacco di noci… O quella dell’anziana donna di Arquata che chiede di salvare dalla sua casa appena demolita “almeno una cassapanca”. E così scopri quante volte si assecondano richieste che non si dovrebbe, anche se il protocollo obbligherebbe a fare il contrario, perché il rischio di entrare in quel che resta degli edifici è troppo…
Rischiare la vita per qualcosa che “oggettivamente” ha poco valore? Presto si impara che il concetto di “oggettività” perde di significato, che una bottiglia, “quella” bottiglia, un sacchetto di pomodorini, “quei” pomodorini, una cassapanca, “quella cassapanca” hanno un’importanza che va ben oltre il loro valore. Sono richiami alla vita… Come richiamo alla vita può essere aiutare un anziano signore a concimare il suo orto, ché temeva le verdure sarebbero morte, anche se difficilmente avrebbe potuto raccogliere i frutti di quel lavoro, in piena zona rossa… o organizzare una partita di calcetto per un gruppo di ragazzini radunati in un campo, alla fine, dopo la paura, contenti di dormire in tenda tutti insieme, come per un grande pigiama party…
I vigili del fuoco, a volte, rimangono nel nostro immaginario legati ai primi giochi bambini, come fa pensare questo tenerissimo episodio raccontato da Stefano e Daniele… che un giorno vengono “investiti” da un’autoscala-giocattolo spuntata fuori da una tenda, seguita poi da un ragazzino con in mano il suo telecomando che chiede loro: “Siete mai saliti su una scala come questa?”
Le storie, belle, tristi, di coraggio, di paura, sono tante…
“Il terremoto non finisce quando arriva”, dice Luca, parlando dei giorni successivi alla prima grande scossa, quando si lavora mentre la terra continua a tremare. Ma è considerazione, questa di Luca, che possiamo ripetere anche oggi, guardando la neve che cade, come è caduto il silenzio, sulle terre d’Abruzzo e dintorni.
Da dove a tratti ci arrivano voci, per dirci che lo spaesamento ancora non è finito…