Leonardo Serafino è artista i cui lavori ho sempre molto ammirato… Qualche giorno fa, parlando dell’ipotesi di una mostra, mi ha chiesto, un po’ scherzando, un po’ no… “perché non scrivi qualcosa per me?”. ma, sapete, non sono critico d’arte… e mai mi permetterei. ” Al massimo posso scrivere un racconto, sui tuoi quadri…” ho risposto un po’ scherzando, un po’ no… Leonardo, i quadri che sceglierebbe per la sua mostra me li ha fatto vedere…. E così, il racconto, devo dirvi la verità, è nato da solo… uscendo, zitto zitto, dalle sue tele… Leggete un po’, ha la veste di una lettera. I racconti…. sono loro a scegliere la veste che vogliono…… spero vi incuriosisca e vi porti tutti prima o poi a vederli, i suoi bei dipinti…
“Quando ti ho chiesto… fammeli vedere, quei dipinti… e tu, senza accompagnarmi, mi hai indicato con un gesto la porta della stanza, laggiù in fondo… e mi sono incamminata lungo il corridoio, e poi ho aperto la porta… mi sono trovata, all’improvviso, da sola, al centro di un cerchio di pareti, e intorno tutti loro… volti, come di fantasmi meridiani, appena trasudati dalle pareti della stanza, che mi venivano incontro…
Sapevo della follia di giochi scanzonati con i tuoi fantasmi, ma mai avrei immaginato che nel tempo ti avesse preso, quella follia, per mano e insegnato a catturare sguardi, da tenere qui, tutti prigionieri della tua magia…
Mi sono subito accorta, sai, del trucco dello spazio che appare dilatato pur fra brevi pareti, ma mi hai fregato lo stesso. Non ho potuto evitare di smarrirmi, e tutto ha preso a vorticare…
Per fortuna che è comparso all’improvviso uno sgabello (o c’era già e non me ne ero accorta)… così mi sono seduta. Un attimo solo, mi sono detta, per riprendere fiato e poi scusarmi con tutti loro, e spiegare che ero lì solo per dare un’occhiata. La mia curiosità, che volete… ma presto sarei andata via…
Ma quegli sguardi, fissati come in attimi di attese, hanno rapito anche me, nel loro cerchio fatato. E, dimmi la verità, quante prede nel tempo hai lasciato loro in pasto… E dopo l’ultima, da quanto tempo aspettano, quegli occhi così pieni di lontananze, in attesa del presente, per quello che ciascuno ha ancora da dire. O da non dire, che è poi lo stesso…
Ho cercato di aggrapparmi a volti riconosciuti. I soli che scrutano, senza timore di guardarti negli occhi. E ho sorriso all’ironia dello sguardo sorridente di Noiret, ma non ho retto quello severo, scostante, sì, della Stein. E neppure quello dello psicanalista viennese, l’ho riconosciuto?, lì pronto a frugarmi nella testa…
Così hanno vinto, degli altri, quelli senza nome…
Chi sei? Come ti chiami, come ti chiami… ho chiesto a ciascuno…
-Chi sono? Chi sono? Chi sono… hanno iniziato a beffarsi di me in sussurri di soffi… qualcuno pure guardandomi a tratti senza mai guardarmi. Senza pietà per i miei timori, che già trasmutavano in desideri…
Avrei voluto vedere anch’io il mare che è nell’orizzonte di quel vecchio marinaio. Le labbra che appena appena si smuovono al ritmo delle onde di quel giorno di mare tranquillo…
Vorrei entrare anch’io nell’incanto che ha rapito il pittore calabrese. Lo vedo, riflesso nei suoi occhi persi, il profilo di Morgana, nel cui abbraccio un giorno anche lui è annegato…
E poi essere il grano bruciato dal sole che sfalda l’azzurro delle iridi del contadino americano…
E rubare i segreti bisbigliati nelle orecchie del prete…
Entrare nel calcolo perverso dei pensieri chiusi di quel politico…
Ascoltare la musica che assorbe le labbra serrate del musicista…
E sapere, vorrei sapere…
Quali paure accartocciano il volto del marinaio senza lavoro…
Quale piovra ha strappato gli occhi dell’uomo senza occhi…
Come calmare il brivido di tutta l’innocente cattiveria del mondo, disegnata nello sguardo di quello scugnizzo…
Capire perché la fine si sfregia di macchie rosse e arancio…
Ma tutti oppongono dolorose distanze, pur tenendomi prigioniera come nel vortice di una giostra su cui non riesco a salire.
Perché è solo la propria solitudine quello che ciascuno sembra rimandare. Una solitudine appena appena camuffata… da un cappello da prete, da un paio di lenti stanche, dalla smorfia di fuoco di un trucco sbagliato…
Tutti ancora trattenendomi e allo stesso tempo a me sfuggendo.
Solo i corpi di donna, sulla parete di mezzo, si offrono sfrontati, carichi del colore della carne.
E cosa ci fate voi qui? Che siete venute a fare? ho chiesto…
-Siamo venute ad abbracciare quel soldato, Lo vedi? è già cenere e sabbia. Quasi riesumato, come fosse appena adesso, dalla terra pallida di una Pompei…
Metafisica della luce, che i volti ha già tutti quasi dissolti… Solitudine delle donne, che sole hanno sguardi e pensieri anche per lui…
E quelli, scommetto, sono tuoi amici, cui fai la grazia di un nome. Mimmo, Sergio…
E va bèh, è bastato un attimo e mi sono innamorata… Potevi immaginarlo. Del restauratore di dipinti. Valerio. Non ha occhi che per la sua splendida solitudine che, qualcuno un tempo me lo aveva letto nelle linee della mano, sarà un giorno anche la mia… Ma credi che riesca, prima che il destino si compia, a fargli spostare lo sguardo su di me? Almeno per un attimo, un attimo solo…
La risposta, lo so, è già nel sorriso trattenuto di Susanna, che sembra farsi beffe dei miei sogni. Le donne, e la loro sottile perfidia…
L’ho sentita, giuro, poi ridere, e chiamare gli altri a ridere di me. Un bisbiglio di silenzi tessuti tutt’intorno alla mai povera testa…
Ora basta! Basta… basta con questo gioco. Ti prego, ti ho chiesto, spezza il cerchio di questo incantesimo. Ti prego, ti prego… ti ho chiamato. Forse anche urlato.
E alla fine sei comparso, anche tu, emerso come gli altri, dall’intonaco della parete. Finalmente.
Ma non sapevo… mai mi ero accorta prima, dell’iride pallida del tuo occhio destro.
Avevo, sai?, un alano arlecchino. Anche lei (era femmina, Diana), un occhio nocciola e l’altro d’un celeste quasi bianco, e sempre mi chiedevo, come ora mi chiedo di te, se lo sguardo vero sia quello vuoto di bianco che ancora e ancora scava dentro la tua anima…
Sorridi? Del tuo bel gioco…
Ma un po’ di magia la conosco anch’io, e riuscirò ad andarmene…
Conosco un trucco. Mi nasconderò dentro la breve veste di quella donnina… quella che si erge in piedi sfacciata… che sola indossa il colore della vita…
della vita nuda…
Francesca
ps: ma tornerò. Un giorno ritornerò. E resterò ferma, davanti a ciascuno, finché sarò entrata nell’orizzonte che ciascuno, con lo sguardo, insegue.