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    I degni e gli indegni….

    lui e agnelliAvrei voluto parlare di famiglie, bimbi, adozioni, quelle negate e quelle usurpate… ma a proposito della vicenda della bambina sottratta a genitori “troppo” anziani, lunedì scorso mi è capitato di ascoltare l’intervento di un noto, notissimo giornalista, che quasi giornalmente ci propone riflessioni da altrettanto notissimi spazi su quotidiani e tv, e a proposito di questa triste vicenda ha parole ben dure contro questa sorta di reato di anzianità “punito con la sottrazione di un minore ai genitori biologici da parte della cosiddetta Giustizia”. E fin qui, d’accordo, d’accordissimo. Peccato che il pezzetto sia chiuso da un corollario… “tutto questo in un paese che non leva i figli ai mafiosi”!
    Naturalmente non voglio insegnare niente a nessuno, figurarsi se a illustre giornalista… Ma è facile, troppo facile…
    Mi interrogo spesso, da quando mi sono imbrigliata in storie di ex appartenenti alla criminalità, su quanto la parola “mafia, mafioso” sia diventata una sorta di “tana libera tutti”, che ci autorizza a brutalità inaudite. A violare diritti fondamentali.
    I figli, dunque. … Intanto, non è vero che i figli non vengono sottratti ai “mafiosi”. E’ un po’ come la falsa notizia che “l’ergastolo non lo sconta nessuno”. I figli vengono sottratti eccome ma, naturalmente, su disposizione del magistrato, il tribunale dei minorenni, che valuta, come è giusto che sia, i singoli casi. E valuta ogni volta, come è giusto che sia, nell’interesse del minore.
    Ogni tanto, però, salta fuori l’idea, “generalista”, di “levare i figli ai mafiosi”. Lo scorso anno c’era stata anche una proposta di legge, che rischiava di creare pericolosi automatismi (come non ce ne fossero abbastanza di devastanti automatismi nel nostro sistema penale…). E sottrarre la patria potestà rischia di diventare, anziché una forma di tutela dei figli, di fatto una “pena accessoria” nei confronti di chi ha una condanna.
    Eppure, eppure… Conosco persone in carcere appartenute alla criminalità organizzata che hanno trovato la forza di cambiare grazie al pensiero dei figli e al rapporto che nonostante le barriere, dello spazio e del tempo, sono riusciti a mantenere con loro.
    Penso ad Alfredo, in carcere da 26 anni, che arriva a dire: alla fine sono contento di essere stato arrestato tanto giovane, che ho capito, e ho voluto che mio figlio restasse distante da quello che a me ha portato qui dentro…
    Penso a Gino, che segue passo passo la vita del suo Nicholas, ed è la cosa che dà un senso alla sua vita, pur imbrigliata in una pensa infinita.
    Penso a Giovanni, che scrive favole per le sue nipotine. E che se ha momenti di abbattimento e di rabbia è perché la distanza ha talmente rarefatto gli incontri…
    Penso a Carmelo, distante anni luce dall’uomo che 25 anni fa fu condannato all’ergastolo, che mi parlava, ora accorato, del figlio che cercava lavoro, ora felice della figlia, che quando lui si abbatteva era pronta a correre per dolcemente rimproverarlo, e sostenerlo. Che mi parla fiero dei suoi nipotini, che sono la ragione del suo cercare di ricostruire, ora che è in semilibertà, una vita “normale”.
    Le persone in carcere parlano molto dei figli, dei nipoti, quasi più che delle compagne. Perché i figli e i nipoti sono la loro unica idea di futuro. E sono loro ad alimentare il pensiero che il futuro può essere diverso dal passato.
    Lo so che remo contro, e questo è remare contro in salita… Ma il punto è sempre lo stesso. La nostra presunzione di stare dalla parte dei “giusti”, e tutto quello che è al di là della linea che abbiamo tracciato appartiene al mondo degli indegni, e non si va troppo per il sottile… Discorso pericolosissimo, questo di ragionare per categorie, di degni e di indegni, poi… Perché se passa il criterio, se oggi leviamo i figli a “tutti i mafiosi”, domani potremmo trovare naturale levarli, che so, a “tutti” i poveri ( e quale sarà la linea di povertà per cui si è incapaci di educare degnamente dei figli…), e dopodomani si può passare ai deboli di cuore, e poi dopodomani, allora perché no?, ai genitori che giudicheremmo troppo vecchi. Noi eventualmente giovani, buoni, ricchi e giusti… E il cerchio si chiude.
    A proposito di figli di mafiosi… Ricordate? Lo scorso anno sulla Gazzetta del Mezzogiorno comparve questa notizia: “quattro scuole di Bari hanno rifiutato un ragazzo perché figlio di un boss in carcere”. La cosa fu commentata con sconforto anche dal sottosegretario all’istruzione Faraone. Le sue parole, durante una conferenza nell’ambito di un progetto educativo antimafia organizzato a Palermo: “Come si può pensare di chiudere la scuola a chi probabilmente ha bisogno più di altri di spazi di condivisione positivi? (…) Questo ragazzo ha bisogno di veri luoghi di educazione, di formazione civile, che lo tengano lontano da modelli criminali. Se la scuola non lavora per superare tutto questo, se la società tutta non si adopera per superare questi preconcetti non andiamo da nessuna parte”.
    Per la cronaca, il ragazzo poi ha trovato, anche per intervento del provveditore, una scuola che l’accogliesse, ma pensate la tristezza… eravamo ( noi società) tutti pronti a respingerlo, condannandolo noi da subito ad una vita fuori dalle “nostre regole”, condannandolo, noi, a sceglierne inevitabilmente delle altre.
    Già, non andiamo da nessuna parte, e da nessuna parte andremo ( scusate lo sconforto). Levare i figli ai mafiosi… Sembra un dettaglio, ma non lo è, perché una frasetta buttata lì da una finestra tanto autorevole, può distruggere, anche senza volerlo, il lavoro paziente, sotterraneo, accorato, di chi si ostina a non voler fare di tutta l’erba un fascio, di chi cerca spazi possibili di ricomposizione. Eppure, quanto sarebbe importante se l’informazione che ha grande ascolto, che ha gli strumenti di conoscenza e cultura, avesse più attenzione a questo lavoro, certo non facile, di ricomposizione e di civiltà…

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