Le parole. Ancora, il solito tarlo. Bisognerebbe maneggiarle con piu’ cautela. Le parole. Ancora un pensiero a questo nostro usarle sbadato. Grazie a un libro, che ce ne snocciola un po’. Di parole tanto scontate da sembrare banali, persino, nell’ovvio incedere del nostro parlare quotidiano. Qualcuna? Altro, ad esempio. O apprendimento. Oppure badanti, code, dati di fatto. Ancora: sicurezza, legge, cibo. Le nostre parole quotidiane… Innocue? Non e’ poi cosi’ certo. Dipende, dipende dall’uso che se ne fa. E ce lo spiega bene Giuseppe Faso, quando cataloga queste ed altre parole in un lessico del razzismo democratico. E ci inchioda alle nostre responsabilita’ quando ci svela il trucco. Quando punta il dito contro la pigrizia ( o la malafede) di chi (noi tutti?) finge di spiegare realta’ complesse con semplificazione di pensiero e di linguaggio. Quando ne spiega l’uso strumentale e demagogico. E non solo. Prendiamo il termine ospite, ad esempio. Parola buona direi, accogliente persino. Sa di antica cortesia e buone usanze. Eppure… “Se ne consideri l’uso degradato ” ci dice Giuseppe Faso. Citando un ricorso della Procura di Firenze dove si legge: “Non si puo’ piegare l’autorita’ del nostro Stato e la cultura millenaria che ci appartiene alle esigenze di immigrati stranieri in larga misura entrati in origine irregolarmente e che invece (…) devono sottostare, quali ospiti, alle regole e agli usi adottati e rispettati dal padrone di casa”. Ed ecco che una parola nata buona come il pane, sembra essere impiegata per negare i principi stessi dell’ospitalita’.
Parole. Svuotate del loro senso e riempite di veleni. Che diventano tarli, che polverizzano l’anima della nostra civilta’. Bisognerebbe essere piu’ attenti alle parole che usiamo, a come le usiamo. Per non abituarsi alla normalita’ di un loro uso razzista. Ce lo spiega bene e con molti esempi Giuseppe Faso. Il suo libro, da aggiungere all’elenco ideale dei libri di testo, di una scuola che voglia costruire civilta’.
Giuseppe Faso, Lessico del razzismo democratico. Le parole che escludono – ed. Derive/Approdi