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    La voce delle pietre

    il cielo fr ale sbarreCon la voce delle pietre parla l’anima della Terra… lo raccontava Pinuccio Sciola, lo scultore sardo che tutti ricorderanno come il grande artista che con le sue pietre sonore ha dato forma al linguaggio della materia. E forse solo dalla Sardegna poteva venire il suo dono. Dal suono dei suoi monti aspri, dalla luce delle sue lune, dalla potenza inebriante delle sue primavere… E mi è sembrato che proprio l’anima della Sardegna, con la forza dei suoi miti antichi, abbia attraversato il mare per colpire diritto al cuore Emanuela Nava, una delle più belle voci della letteratura per ragazzi italiana, e suggerirle il suo ultimo racconto, “Il cielo fra le sbarre” (Raffaello l’editore). Che si apre proprio con l’immagine di un bellissimo uomo, un gigante agli occhi del bambino al quale racconta che le pietre sono vive, “sono acqua fuoco e stelle, sono il seme del mondo”. Mentre incidendole le fa suonare come arpe, e getta dietro di sé sassi, perché nei campi generino draghi e giganti…
    E pietre, che risuonano del canto della terra, (…) accompagneranno tutta la vita di quel bambino, che si chiama Felice.
    Una storia per raccontare agli adulti di domani la vita, che è cosa che non fa sconti. Il nostro Felice cresce, diventa pastore, ama il suo gregge e per difenderlo un giorno uccide… Con lui, nella cella del castigo, non ci sarà altra consolazione che la voce delle sue pietre. Finché una strada per il ritorno alla luce si apre quando viene trasferito nel carcere senza sbarre…
    Il carcere senza sbarre esiste davvero. E’ l’isola di Gorgona, ne avrete sentito parlare, un’isola-prigione dove nelle celle si sta solo per dormire. L’intera giornata è dedicata al lavoro della terra e alla cura degli animali. Tempo del lavoro e di relazioni che possono rieducare. L’isola diventa il luogo del racconto, complesso e densissimo, di Emanuela Nava, che “ci parla di forti radici e umane fragilità, per ricordarci come anche dal male, attraverso un carcere che educhi, che guidi al rispetto di tutto ciò che vive, si possa rinascere”. Peccato che per i più sia ancora un’utopia. E quante occasioni e vite perse, viene da pensare, se anche ieri, c’è chi nel buio delle nostre carceri quotidiane si è tolto la vita…
    Eppure, anche dal male si può rinascere. Il nodo è tutto qui, nel dove è il male e dove è il bene. Che è pensiero intorno al quale mi arrovello specie da quando qualcosa ho cominciato a conoscere del carcere e di chi lo abita. Il bene e il male, che entrambi possono nascere dallo stesso “qualcosa”.
    Tempo fa mi colpì moltissimo in un’intervista ascoltata per radio, la voce di Marco Verdone, che è veterinario omeopata e che fino allo scorso anno ha lavorato nell’isola-carcere di Gorgona, luogo dove la detenzione degli uomini e quella degli animali si intrecciano in destini comuni… Dopo aver parlato dell’esperienza straordinaria del carcere senza sbarre di Gorgona, pure Verdone s’interrogava sulle nostre contraddizioni: pensando alle persone detenute alle quali sull’isola si insegna ad accudire gli animali, persone che agli animali capita si affezionino, ma che poi, accompagnandoli poi verso il macello, alla fine tradiscono…
    Ritrovo la voce di Verdone nell’introduzione a “Il cielo dietro le sbarre”. Il medico, che sull’isola-carcere ha visto comparire e scomparire la vita, ha visto soffrire e gioire umani e non umani, racconta di avere capito, osservando gli uomini, gli animali, le pietre e la terra, che “in ogni cosa, piccola o grande che sia, che parli o non parli, dura o morbida, liquida o solida, è nascosto qualcosa di importante, che può farci entrare in contatto con altri mondi. Addirittura qualcosa che può fare ammalare o guarire”. Ha capito, racconta Verdone, che ogni cosa e ogni essere ha un suo suono. “Alcuni animali hanno un suono violento che chiamiamo veleno. Io sono convinto che per guarire da questo veleno ci vogliono suoni simili”. Ancora, l’anima della Terra, e la sua voce…
    Ci sono pagine bellissime nei primi capitoli del “Cielo tra le sbarre”, dove Felice, ancora bambino, mentre cerca sassi da far “cantare”, viene morso da un’argia, che è il ragno della vita e della morte. Il veleno dell’argia strazia e gonfia… Sono il canto e la danza rituali di tutto il paese che salvano Felice, che quando si risveglia ha accanto a sé il dono di una bambola. Una bambola di pietra che, pure nata dal dolore, è la pietra che Felice farà risuonare nel tempo della prigionia, per cantare la vita.
    Il bene e il male, dunque, che possono nascere dallo stesso qualcosa. Spesso si fa fatica a capirlo, eppure antiche tradizioni popolari, e non solo, già l’avevano compreso.
    “L’uomo che aveva partorito” era il titolo che Emanuela Nava aveva pensato all’inizio per il suo racconto, Mi scuserà se lo svelo, ma è quello che mi è rimasto dentro. Perché ha in sé il mistero. E lo stupore. Lo stesso che prende l’anima, mettendosi in ascolto della voce delle pietre…

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