A proposito di fascino discreto ( e indiscreto) degli epistolari. Rimane intatto a riempirti di nostalgie, del tempo in cui ancora non si era precipitati nell’abisso delle mail e degli sms, che indubbiamente sono una gran bella comodità, ma… avete dimenticato ( o siete così giovani da non averlo mai conosciuto?) il tremore di mani che aprono lettere…
Leggendo un libro che questi tremori ce li riconsegna tutti interi, con un carteggio d’eccezione, che testimonia di “un amore importante” di Grazia Deledda. Che giusto giusto nel dicembre di ottantanove anni fa ricevette, finora unica donna italiana della storia, il premio Nobel per la letteratura. Potenza della sua scrittura… che a distanza di un’infinità d’anni ancora ho impresso nell’anima le emozioni che mi dette la lettura, ai tempi della scuola, di “Canne al vento”…
Per cui immaginate com’è stato facile perdersi andando randagiando, e con quanta curiosità e quante aspettative, fra le pagine di “La quercia e la rosa”, di Ludovica De Nava.
L’amore ‘importante’ è quello nato fra la scrittrice e Giovanni De Nava, poeta, conferenziere, giovane ricco degli ideali del socialismo, che dell’autrice del libro era l’affascinante nonno. Ventitré anni lei, ventuno lui. Un amore che (…) tutto si snoda, nasce, cresce, esplode, muore, nell’arco di un pugno di stagioni. In un andirivieni di lettere fra la Sardegna di lei e la Calabria di lui. Tutto sul filo delle parole, a dipanarsi fra Nuoro e Archi di Reggio Calabria. Perché mai, in quelle stagioni del loro amore, Grazia e Giovanni si incontrarono.
Eppure le vicende dell’amore ci sono proprio tutte. Inizia con l’incontro nella scrittura di cui Giovanni parla alla ‘gentile Signorina’, nell’approccio della prima lettera… “Ho tratto vero diletto dai versi e dai racconti che Ella ha pubblicato (… ) mi ha dato un sussulto di nuovo entusiasmo nel constatare di non essere il solo a provare i tormenti della vita di provincia per chi ha ali grandi per volare via…”. E come sulle ali del vento la prima risposta arriva, con il profumo delle zagare di tarda primavera. Una prima lettera di inviti controllati di lei. E poi subito tutto decolla… gli entusiasmi di lui, la passione che presto nasce in lei: “ Se saprete amarmi così come dite, se saprete sempre circondarmi di amore, di arte, di sogni…, ebbene, sia, sia, sia! Io vi amerò come voi sognate ( e non vi amo forse di già?)…”.
L’amore al tempo delle lettere… Tutto da riscoprire, leggendo i dettagli di questa storia, fatta di parole e sentimenti e di abbracci immaginati ma che pure stringono quasi a soffocare l’anima. Fatta di vite solo sognate, di sogni che vivono il tormento dell’ostilità delle famiglie (Un socialista! E più giovane di lei!! Una donna, non dei paesi tuoi… scrittrice per giunta!). Le tenerezze di lei (‘vuoi un pezzetto del nastro che mi attornia il collo?’). Poi le assenze, i vuoti, le “distrazioni” del bel Giovanni, un po’ più carnali, a dire la verità, dell’amore per la scrittrice, inquieto fra politica e donne, che nel costruire la narrazione fra una lettera e l’altra, Ludovica De Nava racconta. E infine il dolore della delusione di lei.
Appassiona davvero questa storia tutta chiusa in uno scambio di lettere febbrili, dove domina la grande capacità di far parlare l’anima, e raccontare attraverso il suo mondo le cose del mondo, di Grazia, lei rosa di Sardegna. Ma affascina anche il parlare di Giovanni, il muoversi inquieto di lui, quercia di Calabria.
Quasi si dimentica, leggendo, un’avvertenza che pure Ludovica De Nava dà nell’introduzione. Che quelle di Grazia Deledda sono le lettere autografe della scrittrice, che erano state conservate e ritrovate in casa del nonno. Ma le lettere di Giovanni, la nipote Ludovica le ha in qualche modo ricostruite, dai racconti del padre, gli appunti manoscritti del nonno, cercando nelle biblioteche, dalle poesie che Giovanni e Grazia si erano dedicate…
Lavoro straordinario, tanto che quella che ci restituisce l’autrice appare comunque storia senza un attimo di arbitrarietà. E le lettere di Giovanni, man mano che le aspetti in risposta a quelle di Grazia, non possono che essere le “sue” lettere.
Insomma, è così vero e forte e sanguigno questo giovane nonno Giovanni innamorato e appassionato della vita e pure bricconcello… che il sospetto è che a guidare la mano della nipote sia stato proprio lui. Il nonno tanto evocato. Che vedendola rovistare, e annusare e interrogare e interrogarsi, sulle tracce del passato, a un certo punto abbia detto: “Vabbèh… cara Ludovica… apprezzo tanto il tuo affetto per me e per questo mio giovanile amore e voglio aiutarti. Mi affaccio un attimo e ti racconto tutto io…”
Ed eccolo lì. Seduto sulla sua poltrona preferita, ha accavallato le gambe, ha guardato la nipote e … “ecco, andiamo per ordine, per filo e per segno, per come sono andate le cose”. E poi sorridendo ammiccante: “Mi piace che questa storia ritorni…, e mi piace, così, rivivendola, rivivere anch’io”.
E’ per questo che sono certa che nel racconto non ci sia altro che la verità. I fantasmi hanno una memoria di ferro, altro che le nostre flebili menti… Bisogna solo saperli convincere a decidersi a parlare. Come Ludovica ha così magicamente saputo fare.