Una conversazione carpita al bar sotto casa, che oggi non può che partire da Parigi.
Dunque, quattro amici al tavolino accanto. A conversazione già avanzata, afferro al volo una frase: “…ma mostrare i muscoli è di per sé una dimostrazione di forza? I campioni di body building alla prova della forza reale si rivelano tigri di carta… Ricordate l’augurio del maestro Yoda all’allievo Luke in ‘Guerre stellari’?”
“Che la forza sia con te!”, risponde pronto uno del gruppo.
“Bravo”, riprende il primo che sembra guidare la discussione. “Grande parabola di una forza reale fatta di intelligenza, astuzia, arte del combattimento, senso di giustizia che si contrappone all’esercito meccanico di Dart Fener. Che mi fa proprio pensare all’armamentario messo in campo da noi europei: città, Roma compresa, con soldati armati di mitra (col colpo in canna?) a presidiare stazioni metro, luoghi sensibili e quant’altro, mentre aerei russi e francesi bombardano le postazioni dell’Isis… Bèh, comincerei a temere questo pericoloso mix di muscolose rappresentazioni di apparati bellici dei governi e la più o meno lucida follia omicida ( e sucida) dei fanatici terroristi”.
“Già – fa un altro- ma non c’è qualche soluzione più intelligente?”. (…)
“ Tralasciando per un attimo le complesse vicende geopolitiche- interviene un terzo -, guardiamo quello che sta accadendo nelle nostre strade: le polizie di tutta Europa sono alla caccia di Salah, ogni giorno i telegiornali iniziano comunicandoci che il terribile Salah non è ancora stato trovato. Salah il terribile…”.
“O Salah il pavido?- ritorna l’altro- Il pavido che non ha avuto il coraggio di farsi esplodere ed ora è costretto a diventare ‘terribilmente pericoloso’? Tutto un enorme apparato militar-comunicativo per una guerra che più asimmetrica non si può immaginare…”
“Ma chi è Salah?- riprende in mano la conversazione il primo- Chi ha dimestichezza con le periferie urbane d’Europa lo conosce, lo ha incontrato tante volte, ne ha registrato le mutazioni: un anonimo giovane immigrato o figlio di immigrati di fede musulmana neppure tanto credente o praticante, magari passato dalla passione per il rap identitario di un orgoglio da banlieue, al piccolo spaccio che lo ha portato in carcere per un breve periodo nel corso del quale ha meditato sul senso della sua vita. Ci ha trovato poco senso, ha deciso che in un mondo che lo esclude, dominato dalla spettacolarizzazione delle persone e degli eventi, non era proprio nessuno. E c’è chi l’ha convinto ad essere qualcuno. Qualcuno per chi? Per la piccola comunità del terrore alla quale si è legato e dalla quale gli è difficile uscire. E’ un classico delle periferie: giovani costretti ad una forzata inattività, promiscuità di gruppi di origine etnica diversa, radicamento di reti illegali… sono gli ingredienti di quell’impasto di illegalità che si chiama “quartiere difficile”, nel quale si producono più facilmente i “sistemi chiusi ed autonomi” che non offrono alternative se non quella di aderire alle leggi della strada. O del terrore, nei casi più estremi. E oggi Salah o Abaaoud, considerato la mente degli attentati, sono diventati qualcuno per il mondo intero, dominato dalla comunicazione globale che ha portato in tutte le case i loro nomi e i loro volti…”
E salta fuori nella discussione che una ricerca tra i giovani francesi dopo la strage di Charlie Hebdo dice che il consenso per i giovani terroristi va molto al di là dei ragazzi di origine musulmana, riguarda una fetta considerevole di francesi. Con motivazioni varie: il fatto che con la fede di chiunque non si scherza, ma anche apprezzamento per chi sa dedicare la propria vita ad una causa, giusta o sbagliata che sia. E poi, sotto sotto, c’è il fascino della comunicazione globale: per un giorno o poco più sei il più famoso. Identità finalmente trovata in un mondo incerto, liquido, privo di ancoraggi solidi di tipi sociale o familiare.
“Ma ve lo siete mai chiesto?” riprende il primo. “Per quale motivo le inchieste sui mestieri a cui i giovani aspirano per lo più concludono che la maggioranza non aspira a fare il medico o lo scienziato bensì l’attore o il cantante? Qualche giorno fa, ero in treno, ho sentito una giovane impiegata milanese dire che aveva preso un giorno di ferie per gustarsi la finale di Xfactor! E magari aspira ad essere selezionata se ritiene di avere chance canore… La morale che se ne può trarre? Che per un giovane della società mediatica sei qualcuno solo se hai la possibilità di dare una rappresentazione di te, e l’offerta principale che oggi viene data è quello di autorappresentarsi”.
L’adolescenza, la giovinezza… sempre fasi di inquietudine e di ricerca di sé…
“Per carità, nessuna banale analogia tra chi fa strage di persone e chi conquista il palcoscenico con una bella voce. Ma è certo che nella scala dei valori mediatici chi fa un bel botto con le bombe o con una strage suprematista come il giovane omicida di Charleston, e fa parlare di sé tutto il mondo, ha un punteggio assai elevato”.
E allora, che fare? Che consiglierebbe il maestro Yoda? “Consiglierebbe di capire bene il nemico, di interrogarci su quanto e come stia dentro le inquietudini di giovani in cerca di identità. Chi farà loro capire che ‘sono’ qualcuno se sanno far tesoro intimo del loro ingegno, della loro passione o fede? In una sfida con se stessi e non contro il mondo. Insomma, una questione di cultura. E il maestro Yoda direbbe che la modestia e l’anonimato possono essere importanti risorse se si impara la nobile arte della spada, intesa come grande metafora delle virtù individuali”.
“Maestro Yoda – l’apostrofa scherzando uno del gruppo- che pensi della decisione del governo di mettere a disposizione un miliardo per la sicurezza e uno per la cultura?”
“Sicurezza… speriamo intesa in modo intelligente, in vera prevenzione. Che non è mettere due soldatini all’entrata del metrò dove non c’è neppure un metal detector… E per quanto riguarda la cultura… sia chiaro, che si investa in scuola, giovani e periferie…che non si faccia il gioco delle tre carte per cui i fondi per la cultura vanno magari alle misure di sicurezza dei musei, che dovrebbero stare nell’altro capitolo…”
Fine degli appunti. I gatti adorano prenderli origliando ai tavolini dei bar…