Carmelo Musumeci, che il carcere, anche il peggiore, ha vissuto, continua la sua battaglia perché si sappia cos’è veramente una prigione. Convinto soprattutto dell’importanza di parlare ai giovani….
All’invito di Cascina Macondo risponde con il racconto dell’incontro con Anna, alle prese con una tesi sul 41bis. Regime, d’accordo con Carmelo, che diversamente da “tortura” non saprei definire
“Ultimamente mi stanno scrivendo diversi laureandi che stanno preparando la tesi sulla tortura del regime del 41 bis prevista dal nostro ordinamento penitenziario.
Penso che sia importantissimo che i giovani, nelle loro tesi di laurea, s’interessino e scrivano delle conseguenze che porta questo terribile regime. Molti non sanno, e altri fanno finta di non sapere, che questo girone infernale crea dei mostri vegetali, perché dopo alcuni anni il prigioniero non pensa più a niente e diventa solo una cosa fra le cose.
Anna, che si sta laureando in giurisprudenza, l’altro giorno mi ha chiesto: “Che cos’è il regime di tortura del 41 bis?”.
Pur sapendolo, perché l’ho subìto per cinque lunghi anni, con un anno e mezzo d’isolamento totale, mi sono accorto che non è facile rispondere a questa domanda, perché è come se ti chiedessero cos’è l’inferno. Le ho detto che in queste sezioni ci sono donne e uomini che non abbracciano figli, padri, nipoti e madri da anni e anni. È un regime dove perdi totalmente la gestione della tua vita, spesso anche dei tuoi pensieri. Ti spogliano della tua identità. Diventi a tutti gli effetti un fantasma. Ti levano anche lo specchio, per non farti specchiare, per farti sentire un’ombra. Ti spogliano la cella di tutti i tuoi oggetti. Ti censurano la posta per toglierti la solidarietà esterna e l’intimità dei tuoi sentimenti. Ti isolano. Ti emarginano come i dannati all’inferno, ma almeno questi, si dice, hanno la compagnia dei diavoli.
Alla fine ad Anna ho raccontato un episodio di quando ero sottoposto al regime di tortura del 41 bis nell’isola del Diavolo dell’Asinara.
Era il 1992. Mi trovavo nella cella liscia. Ero in isolamento. Non vedevo e non parlavo con nessuno. La mia cella sembrava una scatola di sardine. Un fazzoletto di cemento, con una branda piantata sul pavimento. Un tavolino di pochi centimetri inchiodato al muro. Una finestra con doppie sbarre, una porta blindata spessa una spanna. Un bagno turco aperto senza nessuna riservatezza e, al lato, un piccolo lavandino. Lo spazio nella cella era minimo. A malapena riuscivo a stare in piedi per fare giusto qualche passo avanti e indietro. Probabilmente un animale, vivendo in quel modo, sarebbe morto.
Io invece sono riuscito a sopravvivere.
Una notte, era l’ultima dell’anno, era passata la mezzanotte e le guardie stavano festeggiando rumorosamente l’anno nuovo. Erano ubriachi. Davano calci ai blindati e urlavano insulti verso di noi. Intuii che presto sarebbero venuti a divertirsi con me. Non mi sbagliavo. Arrivarono. Aprirono la cella ed entrarono. Ridevano. Erano ubriachi. Imprecai contro di loro, e loro iniziarono a colpirmi con i pugni. Quando poi fui a terra, iniziarono a colpirmi con i piedi. Per ripararmi mi trascinai sotto la branda. Le guardie fecero più fatica a colpirmi e presto si arresero e andarono a divertirsi con qualche altro detenuto.
Infine, ho detto ad Anna che adesso il regime di tortura del 41 bis è ancora peggiore e si sa ancora di meno di quello che avviene, perché quei prigionieri hanno smesso di vivere, pensare, sognare e sperare.
Carmelo Musumeci