“Non vedo soluzioni immediate per sanare la frattura fra il mondo e le strutture del linguaggio. Propongo per il momento l’individuazione di una scrittura evocativa. Riallineare le parole per compitare realtà virtuali”.
Dove l’assassino avrebbe potuto scegliere se riacquistare dignità con una ridefinizione del suo ruolo o guizzare fra ipotesi, accuse, alibi, scegliendo di volta in volta un volto, un’arma, un movente finalmente a sua assoluta discrezione; dove a Boh sarebbero stati permessi lunghi viaggi senza bisogno di addormentarsi sulle rotaie; dove Geraldine avrebbe avuto tutte le panchine e tutte le lune che avesse desiderato; dove io avrei potuto sistemare tutti i punti e virgola che avessi voluto, ricreando le giuste pause che non fossero l’ansia di una virgola o la fine decretata da un punto.
Jimmy aveva esposto la sua teoria con tale gravità che nessuno ha osato dissentire. Neppure io.
Ma da dove cominciare?
Abbiamo trascorso l’intera giornata a tentare di definire nuove regole. Ma non è stata cosa semplice.
Ogni tentativo è sembrato inevitabilmente tradursi nella costruzione di nuove prigioni, di nuovi lacci, ancora di catene di necessità: pericolosissimo. Ci siamo resi contro troppo spesso di trovarci a rinnegare le stesse premesse dalle quali eravamo partiti. In più di un momento l’unica soluzione accettabile è sembrata essere la confusa sequenza di cartone nella quale mi sono ritrovato a vivere e dove i miei sono precipitati nella loro fuga.
Abbiamo cercato di nascondere la delusione sorseggiando con simulata disinvoltura bicchieri dell’ottimo gin che ho riserva per le grandi occasioni. Jimmy ha acquistato a poco a poco un’aria meno severa; Geraldine, fino ad allora garbatamente sorridente, ha cominciato ad emettere sonore risate; l’assassino si è dilatato sulla parete in una macchia meno gialla e più estesa; Boh ha tentato di intonare canti della sua terra ma è riuscito a produrre solo fischi di treno.
Finché ancora Jimmy ha avuto un guizzo.
“Ma certo!”
“L’impossibilità delle regole! Perché continuare a negarlo!?”
E tutti ci siamo sentiti finalmente liberi dalle catene della menzogna che, mentendo un po’ a noi stessi, anche noi avevamo contribuito a costruire.
Certo, l’aiuto dell’alcool è stato innegabile. Eravamo tutti ubriachi, finalmente, definitivamente lontani dal mondo. Levitanti in un universo che gravitava intorno al nulla. Grazie al gin, lontani anche dall’ipotesi di realtà che avevamo in mente di costruire; o eravamo già nell’ipotesi di irrealtà costruita in un mondo di cartone . Per qualche ora è stata questa la nostra meravigliosa certezza: sarebbe scomparsa la mattina seguente insieme ai fumi dell’alcool, ma perché negarsi l’illusione di essere padroni del nostro destino, grazie alla lucidità estrema donata da qualche centilitro di distillato? La lucidità di chi è fuori da se stesso, dalle cose, dal mondo e può finalmente ritrovarsi padrone del tutto.
Così abbiamo compiuto l’unico atto possibile.
Boh ha raccolto u buon numero di parole, le ha versate in un bicchiere da cocktail, le ha coperte con un piattino, le ha shekerate e poi versate con gesto da consunto barista al centro del tavolo.
Ognuno di noi le ha rilette secondo ordini improvvisati: vestali confuse guidate da regole d’ebbrezza, abbiamo computato verbi che la mattina seguente nessuno di noi avrebbe più distinto, composto sillogi afasiche, parole tronche, frasi sincopate, articoli mutilati. Non abbiamo cercato nuovi significati per le parole uscite dalle loro forme.
E loro, le parole, tutte le parole non dette, tagliate, ignorate, sono comparse in trasparenza tra le righe accumulate negli anni; hanno preso corpo spessore e forza e sono venute a galla sulle superfici delle copertine di riviste e giornali; si sono accomodate fra gli spazi rimasti vuoti delle pareti; si sono gonfiate fino a lacerare tutte le regole che non riconoscevano più; sono diventate tappeto di graffiti, rete di segni; sono andate in cucina e hanno danzato intorno al fuoco; sono rientrate dalla porta, invaso la stanza, affollato la scrivania; ognuna ha scelto un colore e se ne è rivestita; sono sfilate davanti a noi e hanno preteso ciascuna di essere pronunziata; sono diventate nuova realtà; hanno rioccupato tutti i nostri discorsi e ora stanno riscrivendo anche questa storia.
(16- fine)