Fresco fresco di stampa, il libro curato da Matteo Guidi “Cucinare in massima sicurezza”, edito da Stampalternativa, ricettario nato da un bel lavoro fatto con detenuti delle sezioni di massima sicurezza un pò di tutta Italia. Insomma, quelli “cattivi”… La premessa è che sono sicuramente di parte. Alcuni degli autori del libro di ricette sono le voci di “Urla a bassa voce”, e, scorrendo queste pagine, rivedo luoghi e volti sia pure solo immaginati durante il mio lavoro sull’ergastolo ostativo. Ho un motivo di più quindi per apprezzare questo libro. Tutti i libri di cucina hanno sempre un grande fascino e anch’io ne ho comprato di “qualsiasi” per il solo gusto di avere fra le mani “ricette”, forse perché il richiamo inconscio è in fondo all’alchimia di formule, magari magiche, magari giochi di streghe… Queste degli ergastolani mi sembrano formule invocate per dare corpo all’illusione di una normalità possibile… e questo è uno degli aspetti forse anche toccanti del ricettario. “Servire preferibilmente in piatti di legno…. preferibilmente con vino bianco…servire in fretta e ben fumante…”, spigolando qua e là… E nello stesso tempo sono dichiarazioni dell’impossibilità di una vita normale. Capita che le note a margine di ogni ricetta, ricordino quanto la normalità sia impossibile, riportando sommessamente, ma continuamente, alla realtà del carcere. Ascoltate: “ci si consolerà gustando”, “per svuotare le melanzane col coltello di plastica è necessaria molta pazienza”, sembrano sussurri in un posto che immagini di urla soffocate.(…)
Bella l’idea di far precedere ricette e ingredienti l’elenco degli strumenti necessari, che è poi la cosa che segna la differenza con un qualsiasi altro ricettario e ci ricorda ogni volta che fra noi e gli autori delle ricette s’innalza un muro. Tutto l’industriarsi, poi, intorno agli strumenti, la loro ideazione e costruzione è in realtà il racconto della sopravvivenza in carcere e ne è apprezzabile soprattutto la leggerezza. Cosa che fra l’altro permette di guardare a questo ricettario, quasi come a un manuale da giovani marmotte, o campeggiatori persi nel bosco… E’ vero forse, come si spiega nell’introduzione, che qui non si vuole insegnare a cucinare a nessuno, perché ricette semplici, che forse in tutte le famiglie si conoscono ( ma non ne sarei così sicura, e poi credo che la tentazione di provare lo “spaghetto infinito” possa venire a tutti) . E credo che per questo il libro penso possa essere proposto anche come manuale per riscoprire ricette “semplici”, casalinghe. Insomma, forse non è più per tutti tempo di cibi da grandi chef o molto elaborati, e questo da un lato anche per motivi economici, non indifferenti purtroppo in questo momento di crisi, dall’altro per la rivalutazione, che da un po’ di tempo comunque sta prendendo piede, delle cose semplici e naturali.
Ma c’è una cosa in più che qui si insegna, attraverso il tempo e i ritmi del cucinare: il tempo della pazienza. E qui è un tempo tutto particolare: quella della pazienza “obbligata”, e “necessaria” per sopravvivere.
Insomma parlare del carcere, dell’ergastolo per di più, passando per la cucina. Se il cibo è comunicazione, questo è il tentativo di aprire una porta (ahimé di ferro) attraverso un canale inaspettato, e, credo per molti insospettabile. Invito dunque a leggere, e magari provare queste ricette. Con un pensiero ai suoi autori, con tanta cura e passione seguiti e coordinati da Matteo Guidi. Capaci di parlare, ad esempio in una ricetta riservata al pollo, di un “povero animale”… Ma in quale altro libro di cucina trovereste mai un attimo di commozione per un povero pollo destinato alla propria tavola?